Questo sito contribuisce all'audience di

Il Brasile senza leader: la Democracia Corinthiana di Tite

La chiamarono Democracia Corinthiana: un nuovo modo di gestire una squadra di calcio, lasciata totalmente nelle mani dei calciatori che appunto “si autogestivano”, votando a maggioranza le decisioni da prendere. Fu l’utopistico esperimento realizzato nel Corinthians degli anni ’80 da Socrates e compagni. Negli anni in cui il Brasile lottava contro la dittatura i giocatori invece scelsero per la democrazia. Ogni decisione infatti, dagli allenamenti agli aspetti tattici della partita, veniva presa da tutti i giocatori. L’educazione Corinthiana invece, fu quella che plasmò anche Adenor Leonardo Bacchi per tutti Tite, ex allenatore del Timao e oggi CT del Brasile. L’allenatore che riportò il Corinthians sul tetto del Brasile e poi su quello del mondo, vincendo addirittura il Mondiale per Club contro il Chelsea nel 2012.

Lo stesso spirito che oggi guida il Brasile. Privo di un vero leader, ma pieno di campioni. È così che inizialmente è stata vista con perplessità la Rodizia: l’alternanza ad ogni partita del capitano brasiliano. Una scelta inusuale per una nazionale ma necessaria secondo Tite per non dare troppa responsabilità ad un unico giocatore. Perché la mentalità di una squadra si crea anche così. Liberando da pressioni i giocatori e distribuendo a tutti la responsabilità. Evitando di cercare il capro espiatorio sul quale puntare il dito delle ultime pesanti sconfitte subite in Copa America e nel mondiale giocato in casa. E poi la scelta di aggregare alla spedizione anche le famiglie. Per liberare al massimo il jogo bonito e sfruttare al meglio la tanta fantasia presente in rosa. Come contro il Messico, contemporaneamente in campo: Neymar, Gabriel Jesus, William, Coutinho. Ma il vero uomo chiave di Tite in realtà è stato un altro.

È così che uno degli uomini più importanti del Brasile diventa un giocatore con meno qualità, ma che riesce ad interpretare al meglio lo spirito imposto da Tite: Paulinho. Discepolo di Tite fin dai tempi del Corinthians campione del Brasile e del Mondo e di nuovo uomo importante nel Barcellona, dopo una parentesi in Cina, lontano dal grande calcio. È l’uomo di Tite, il meno brasiliano in campo, ma il vero cervello del centrocampo.

“Quello che conta è la gioia” continuava a ripetere Socrates, il Dottore, per la sua laurea in medicina, padre di quell’esperimento. La massima gioia che il destino non ha voluto fargli vivere portandolo via proprio il 4 dicembre 2011 giorno in cui il suo Corinthians tornò a vincere il campionato brasiliano. Lui che fu l’uomo simbolo di uno Brasile pieno di talento che nel 1982 e 1986 sfiorò solo la vetta del mondo. Lo stesso talento che ora ha il Brasile del 2018. Pieno di fenomeni, ma senza un vero leader.