I ricordi del ‘Pampa’ Sosa: “Il San Paolo con la 10 l’emozione più grande, orgoglioso di aver giocato con Tevez, Iaquinta e Hamsik”
“Napoli entra nel cuore di chi passa per questa città, è un marchio che ti resta per tutta la vita. Cammino per strada, incontro tanta gente e mi sento uno di loro”. Napoletani’s Pampa! La maglia azzurra come tappa (fondamentale!) di una carriera lunga e ricca di soddisfazioni per Roberto Sosa. Il punto giusto in cui chiudere il cerchio, per ricominciare una nuova vita. Da allenatore e da… napoletano. “Ormai lo sono a tutti gli effetti, al di là del calcio – ha raccontato il ‘Pampa’ Sosa a GianlucaDiMarzio.com – Sono fidanzato con una napoletana e, con la mia ex moglie, ho una figlia nata in questa città. A Napoli mi lega l’amore, anche andando via resto sempre qui. Ora per motivi di lavoro (allena la Vultur Rionero, squadra di Serie D) sono costretto a stare in Basilicata, ma tutti i lunedì torno a Napoli e sono sempre in contatto con amici e parenti della mia compagna”.
Quattro stagioni in azzurro, quelli della rinascita. Sosa arrivò nel primo Napoli di De Laurentiis, quando ancora non c’erano neanche i palloni. Se n’è andato con gli azzurri in Europa. In mezzo tante emozioni, una in particolare. “Giocare l’ultima partita al San Paolo con la numero 10 è stata la cosa più bella della mia carriera. Avevamo già festeggiato la promozione in Serie B, sapevamo che dall’anno successivo quella maglia sarebbe ritornata nel cassetto perché ritirata in onore di Maradona. In Serie C, invece, c’era l’obbligo della numerazione dall’1 all’11. E nell’ultima gara al San Paolo, contro il Frosinone, chiesi a Pierpaolo Marino di indossarla e mi fu concessa quella fantastica opportunità. Il Napoli in questi anni ha avuto grandi calciatori come Higuain, Cavani e Lavezzi, ma l’ultimo ad aver indossato la 10 di Maradona resta Roberto Sosa. E questa è un’emozione che ricorderò per tutta la vita”. A Napoli ha vissuto gli ultimi anni ad alti livelli in Italia, per poi tornare a fine carriera. Ma anche Udine è stata una tappa importante della carriera del ‘Pampa’ Sosa, la prima in Serie A dal 1998 al 2002. “Mi trasferii in Italia, sì… ma fino a un certo punto. In pratica eravamo una squadra di stranieri, l’unica lingua che non si parlava era proprio l’italiano. Un gruppo multilingue, tant’è che molti si chiedevano ‘ma questi come fanno a capirsi in campo?’. Lì ci intendevamo bene, alla fine a Udine arrivarono tanti risultati positivi senza parlarci”.
Momenti, sensazioni ed emozioni. Il calcio è fatto di tutto questo. Restano poi i ricordi, di squadre, città e compagni di squadra. “Nella mia vita ho giocato con tanti grandi calciatori, tre di questi però rappresentano il modello del vero professionista. Il primo è Tevez, con cui ho giocato sei mesi al Boca. E’ mostruoso, il suo segreto è l’allenamento settimanale perché veramente non molla un centimetro. E poi c’è Vincenzo Iaquinta, lavorava in maniera strepitosa tant’è che è arrivato a vincere un mondiale”. Ed il terzo? “E’ una cosa che dico ogni volta: sarò sempre orgoglioso di aver giocato con un calciatore come Marek Hamsik. Ora è a cinque gol dal record di gol segnati col Napoli, che è di Maradona. Nessuno può essere paragonato a Diego, però se qualcuno deve ottenere questo primato è giusto che sia Marek Hamsik. E credo che nessun napoletano sceglierebbe qualcun altro”. Da un giovanissimo Hamsik al primo ‘Pocho’ Lavezzi, altro compagno di squadra di Sosa nella prima stagione del Napoli in Serie A. “Era una forza della natura, spesso si isolava anche durante gli allenamenti ma all’improvviso decideva di vincere le partite da solo. Così, gli bastava una scintilla. Il martedì e il mercoledì magari lo vedevi assente, dicevi ‘ma come mai sta così?’. Sembrava che si allenasse male, poi la domenica era imprendibile. Il sorriso ed il cuore erano i suoi segreti, lottava sempre per vincere qualsiasi partita”.
Quasi 20 anni di professionismo, un’intera vita dedicata al calcio. “Mi è sempre piaciuto, ci gioco da quando sono bambino. Ma inizialmente facevo il portiere, poi sono passato in difesa, a centrocampo e, alla fine, in attacco. Ho fatto tutti i ruoli, fino a che non ho trovato quello giusto. Quando ho esordito in Serie A argentina con il Gimnasia La Plata sognavo di trasferirmi in Italia, ci sono riuscito. Riuscire a fare carriera anche da allenatore sarebbe una doppia soddisfazione per me, il coronamento di un sogno”. Ora una nuova vita, quindi, in panchina. Tanto desiderata ed inseguita: “Mi piace più allenare che giocare”, ci ha raccontato. Ed il campo non gli manca: “Ho smesso di giocare sei anni fa, ne avevo 36. E l’ho fatto senza rimpianti, orgoglioso e contento della mia carriera. Poi ho finito al limite, iniziavano a farmi male le caviglie e le ginocchia. Ho dato veramente il massimo fino all’ultimo allenamento, ma avevo capito che non ne avevo più”.
Il suo futuro è in panchina. Oggi la Vultur Rionero, domani chissà. Il viaggio è appena iniziato e, dopo una lunga carriera di soddisfazioni da calciatore, il ‘Pampa’ Sosa proverà a ripetersi anche da allenatore. Con il bagaglio di ricordi ed emozioni che il calcio gli ha già regalato e che porterà sempre con sé.