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I primi lampi rossoneri di André Silva, punto di fuga di un San Siro alla scoperta del suo nuovo bomber

Più di 40mila occhi addosso (almeno a San Siro) per (quasi) altrettanti milioni di aspettative. Se ti chiami André Silva e indossi la maglia numero 9 del Milan, responsabilità piuttosto tosta e non semplice da vivere a giudicare dagli anni post Inzaghi, il tuo presente non può che essere punto di fuga per tanti sguardi su un (bel) dipinto made in Portogallo. Doppietta a San Siro contro lo Shkendija, in attesa di esami ancor più probanti, e destino che viaggia di pari passo proprio con quello dell’allora Superpippo, ultimo giocatore rossonero a gonfiare due volte la rete al “Meazza” nel 2010 contro il Real Madrid con quel macigno (sotto forma di numero) sulle spalle.

Nessuna esagerazione, a conti fatti, oltre ad un 6-0 europeo che per il Milan mancava dall’ottobre ’93 contro il Copenhagen: per il giudizio finale chiedere a Pato (che avrebbe poi terminato proprio con la “9” la sua tormentata esperienza in rossonero), Matri, Torres, Destro e Gianluca Lapadula, passato al Genoa e tra gli elementi meno in difficoltà (visto il “battesimo” a 26 anni in Serie A) ad onorare al meglio una scelta complicata. Eppure, al di là della “10” vestita al Porto, con il numero assegnatogli è stato amore a prima vista: tanto da ripartire da Milano, dopo visite e firma sul contratto, con la nuova maglia rossonera in valigia utilizzata per le foto di rito. Ed un 9 stampato sulle spalle che, al di là di nuovi arrivi (caso Bonucci escluso), non avrebbe lasciato alcun dubbio sul nuovo “proprietario”…

Su di lui (e lo si è detto più di una volta) scommette forte CR7: “Quando lascerò, il Portogallo sarà in buone mani”. Mica male, detto da chi è divenuto simbolo di una nazione, anche oltre il contesto calcistico: un messaggio per augurare buona fortuna e complimentarsi per la nuova avventura alle porte, in cui André Silva ha dovuto aspettare (almeno in gare ufficiali) 56 minuti prima di sbloccarsi. Prima il piazzato con il destro per aprire la gara, poi forza e caparbietà (snodandosi da terra, quasi da ex karateta) per centrare fortemente il 3-0: due lampi per sbloccarsi e per dare continuità alla buona intensità mostrata a Catania, contro il Betis, da minaccia su ogni palla alta e da boa per tenere su la squadra. Serviva e servirà pazienza, come sempre, per giudicarne complessivamente la crescita: pochissime sedute d’allenamento post ritorno dalla Confederations Cup, con conseguente ed immediata partenza verso la Cina, ed una forma chiaramente tutta da trovare prima di stilare i primi bilanci. Che con la magia di tacco neutralizzata da Zahov avrebbero potuto, almeno al termine di questa gara, essere ancor più positivi.

Un punto di fuga che non vuole avere eguali, almeno come diktat promosso sin dalle prime interviste rilasciate: “Ho sempre voluto essere me stesso, originale e non la copia di qualcun altro”. Da classe ’95, e con un enorme strada per fare sempre meglio davanti, l’inizio non è stato certo dei peggiori: ora, la parola d’ordine resta semplicemente “continuità”. Nel volersi migliorare, con umiltà, dedizione e con il mantenimento di una promessa già fatta: diventare sempre più Qualcuno, oltre a se stesso. Scrollandosi di dosso critiche preventive e sentendo sempre più leggera quella “9” che, dalle parti di Milanello, vorrebbe finalmente trovare un padrone capace di indossarla per anni.