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“Ho inizato per strada. Due felpe come pali e un pallone: ci sembrava la finale di Champions”. Dalla A con l’Atalanta alla D, Rantier si racconta

“Non ho grossi rimpianti, la mia carriera l’ho fatta e sono felice: giocare a calcio è un grandissimo privilegio”. Italiano perfetto, ma l’accento tradisce le origini francesi di Julien Rantier, una delle stelle della serie D. Dribbling, tecnica, velocità, il piccolo trequartista del Vigor Carpaneto si presentò subito bene agli occhi degli osservatori dell’Atalanta: per impressionare Mino Favini dovevi avere qualcosa di speciale. Sedici anni dopo il talento è sempre lo stesso, come lo sguardo furbo e la cordialità del ragazzo di Pont-Saint-Esprit. Tuttavia la carta d’identità dice 34 anni, così la scorsa estate Julien ha fatto la famosa “scelta di vita”. Un passato in serie A, B e C, con numeri di tutto rispetto, ma ha prevalso la voglia di avvicinarsi a casa, dopo tanto girovagare per Italia: “Ho trovato una società seria e già dai primi colloqui il presidente Rossetti mi ha fatto un’ottima impressione” – dichiara Rantier ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – “Dato che la mia priorità era avvicinarmi a casa ho preso questa scelta: volevo tornare a Piacenza. A Carpaneto mi trovo a 10 minuti da casa mia. Il club è ambizioso e anche questo mi ha aiutato ad accettare. L’anno scorso i ragazzi hanno vinto il campionato d’Eccellenza e quest’anno abbiamo allestito una buona squadra. Però l’obiettivo primario è salvarci”.

E’ stato difficile abbandonare il professionismo? “Il livello sicuramente è più basso, ma tutti gli avversari sono molto organizzati e con giovani con grande voglia di arrivare. Ci sono buone squadre e il girone è ancora tutto da scoprire. Io avevo diverse offerte dalla serie C, ma lontano da casa. Il mio interesse principale era tornare, come detto, e dedicarmi a mia moglie Alessandra e a miei figli Mattia di 7 e Sophie di 6 anni. La mia carriera l’ho fatta e adesso le priorità sono altre. Mia moglie è di Piacenza, qui abbiamo tutti gli affetti”. Già, ormai possiamo definirlo italiano d’adozione… A proposito, come sei arrivato in Italia? “Mi fai sentire vecchio! (ride) Qui torniamo indietro a tanti, tanti anni fa… (ride di nuovo). Ho iniziato a giocare per strada, io vengo dalla periferia di Marsiglia, dove basta poco per sentirsi in finale di Champions: un pallone e due felpe per fare i pali. Al resto ci pensava l’Olympique, la mia squadra del cuore, che in quel periodo vinceva la Coppa dei Campioni: il mio idolo era Chris Waddle. Mancino, numero otto, inglese, capelli corti davanti e lunghi dietro: fortissimo! Dopo le prime prove positive con la mia prima squadretta mi ha chiamato il Nimes Olympique, avevo 10 anni. Ho dovuto lasciare la mia famiglia, tutti gli amici, ma già da allora ero determinato: volevo fare il calciatore. A 16 anni avevo già debuttato con i grandi, in serie B. Da lì è arrivata la chiamata dell’Atalanta e ho fatto la Primavera fino alla prima squadra. Così è iniziata la mia carriera italiana. Non è stato facile perché mi trovavo a 17 anni in un paese nuovo, senza conoscere la lingua. Ma adesso posso dichiararmi felice di quella scelta”.

Atalanta… ricordi di serie A? “Non solo… Sono cresciuto insieme a Pazzini, Montolivo, Agazzi, Bianchi, Canini, Pià, , tanti ragazzi che hanno fatto strada. L’Atalanta è una grandissima società, una delle poche che punta sui giovani non solo a parole ma con i fatti: l’Italia ha un modello da imitare. Lo dimostrano i risultati dell’anno scorso e di quest’anno. A Bergamo i ragazzi escono già pronti per giocare in serie A. Degli ultimi sfornati mi ha lasciato a bocca aperta Andrea Conti, il terzino destro: una roba impressionante. Peccato che nel Milan si sia infortunato. Esordio in A? Ricordo bene quella partita con il Como perché era un momento difficile e la posizione in classifica non rispecchiava il reale valore di quella squadra. I tifosi passarono metà della gara a contestare, ma la mia prima con l’Atalanta portò bene: finì 2 a 1, sfiorai anche il gol. Poi, vista la situazione difficile, la società decise di non impiegarmi più fino alla fine della stagione: era il 2003. Feci tanta panchina e retrocedemmo in serie B. L’estate successiva fui ceduto al Vicenza in uno scambio che vedeva coinvolto anche Simone Padoin, in cambio di Marcolini e Bernardini“.

Oltre ai 56 minuti in Atalanta-Como, c’è qualche altra occasione persa nella tua carriera? “Premetto che non ho rimpianti perché in ogni posto in cui sono stato ho sempre dato tutto e la gente me lo riconosce. Mi basta sapere che i mie ex club e tifosi mi ricordano con affetto per essere in pace con me stesso. Ognuna è stata un’avventure speciale però l’Hellas è il club in cui tutto è stato perfetto. Ma, ripeto, sono stato bene ovunque: Piacenza, Vicenza, Bergamo… Occasione mancata? Forse l’unico treno perso c’è stato nel 2006, il famoso campionato di B con Juventus e Napoli, un torneo di livello altissimo. L’estate successiva ci fu un forte interessamento di Genoa e Cagliari, che volevano portarmi in serie A, ma non riuscirono a raggiungere un accordo con il Vicenza. Per me sarebbe stata una grandissima opportunità, ma purtroppo, per questioni varie legate ai procuratori, non si concretizzò”. Dodici presenze e 3 gol quest’anno, ma Julien ha trovato anche il tempo per studiare… Da poco hai anche iniziato a frequentare il corso per fare l’allenatore, vedi il tuo futuro in panchina? “Vedremo, non lo so. Per il momento ho iniziato ad allenare i bambini del 2009 del Carpaneto e mi sto divertendo molto. Mi piacerebbe più che allenare, formare i ragazzi, farli crescere. Diventare allenatore non è tra i miei obiettivi, poi “da grande” magari cambio idea… (ride ancora)”.

Hobby? Solo calcio o c’è spazio per altre passioni? “Mi piace molto il restauro, soprattutto mobili antichi, è una mia passione. L’altra è passare tanto tempo in famiglia, come volevo, quello che desideravo di più. Poi si vedrà cosa altro potrò fare. Il mio obiettivo è di giocare fino a quando il fisico me lo permetterà e dato che mi sto divertendo per il momento di smettere non se ne parla. Una volta smesso mi piacerebbe rimanere nel mondo del calcio. Ho sempre fatto questo, conosco l’ambiente e spero di avere ancora un ruolo in questo settore. Il futuro è un’incognita, meglio vivere intensamente il presente. Posso solo dirti che sarà in Italia, non ho intenzione di tornare in Francia: ci vado due volte l’anno a trovare mio fratello e i miei genitori e basta così…”. E il Carpaneto ringrazia…