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Il ritiro a 28 anni e la rinascita da allenatore, Hiljemark: “Ora sfido la Roma in Europa”

La nostra intervista a Oscar Hiljemark, ex centrocampista di Genoa e Palermo, oggi allenatore dell’Elfsborg che affronterà la Roma in Europa League

Una doppietta a San Siro, quattro stagioni in Italia tra Palermo e Genoa e un ritiro forzato: Oscar Hiljemark ha lasciato il calcio a ventott’anni per un infortunio all’anca. Oggi l’ex centrocampista è rinato: di anni ne ha trentadue ed è diventato allenatore. Siede sulla panchina degli svedesi dell’Elfsborg e giovedì sera sfiderà la Roma in Europa League. Ritroverà Ivan Juric, che lo ha voluto e allenato al Genoa. E prepara la partita contro l’ex maestro con il sorriso: “Il calcio è magico, ci proveremo. Sarà una serata fantastica”.

 

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Raccontando la sua storia, Hiljemark è un fiume in piena. Parla di filosofia, idee di gioco, leadership. Trentadue anni, ripetiamo. E già guida una squadra di Europa League. Noi di Gianlucadimarzio.com lo seguiamo curiosi mentre ci apre le porte di casa, alternando battute in inglese e in italiano – lo parla ancora, e bene, a cinque anni dall’addio. In sottofondo giocano i suoi figli. Tre anni e mezzo il maggiore, due in meno il più piccolo: “Sono già matti di pallone”. Qui la domanda viene spontanea: “E’ più facile fare il papà o l’allenatore?”. Sorride, Hiljemark: “Di figli ne ho due, i giocatori invece sono venticinque. Per tutti cerco di essere un leader e un buon esempio”. Un uomo tutto casa e c…ampo. “Quante ore penso al calcio? Troppe. Anche in palestra o mentre guardo un film, ci sono volte in cui devo mettere in pausa e appuntarmi qualche intuizione. E poi a letto, prima di andare a dormire: un vulcano di idee. Sugli avversari, sul sistema da usare, su cosa dire alla squadra in spogliatoio. Il calcio non è un lavoro, è uno stile di vita”. E chissà che proprio in una di queste nottate svedesi sia arrivato l’”Eureka” giusto per battere la Roma.

 

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“Ritirarsi non è stato semplice. Allenare è stata la mia miglior scelta”

Un passo indietro doveroso per chi aveva lasciato Hiljemark al Genoa: come ci è arrivato in Europa League… da allenatore? La prima sliding door è nel 2019: il centrocampista classe ‘92 lascia i rossoblù e va alla Dinamo Mosca: “Quando sono andato via dall’Italia non pensavo sarebbe stata la fine, amo questo paese e la sua cultura. Dopo la Russia è arrivato il covid e stavamo aspettando il primo figlio: ci siamo avvicinati a casa, all’Aalborg, in Danimarca. Avevo ventott’anni e voglia di fare bene, ero nel pieno della mia carriera”. Qui arriva l’evento che cambia la storia: “Dopo poche partite, in uno scontro con il portiere mi faccio male all’anca. Lavoro per tornare in campo, ma dopo nove mesi di riabilitazione non riesco nemmeno a camminare. Consulto specialisti in giro per il mondo: “Si può fare un’operazione?”. No, niente. Non sarei più tornato al mio livello. Ho deciso in fretta: è la fine, smetto”.

Così Hiljemark lascia il calcio giocato: “Non sono stati giorni semplici. Ho detto al club di voler risolvere il mio contratto: loro mi hanno chiesto di entrare nello staff e allenare. Ho accettato subito: è stata una benedizione, la miglior scelta di tutta la mia carriera da professionista. In Danimarca ero già quasi un allenatore in campo, lo sono diventato anche fuori. Sono stato prima collaboratore, poi ho preso la panchina ad interim: lottavamo per non retrocedere e siamo stati a un passo dalla salvezza, ma per un gol siamo scesi in seconda. L’anno dopo, da primo allenatore, ho riportato l’Aalborg in Superligaen e sono andato via”.

 

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“Così a 32 anni alleno in Europa. L’età non è un problema”

Missione numero uno (la promozione), compiuta. Ora viene il bello: “In estate sono tornato a casa, all’Elfsborg, dove avevo iniziato a giocare. Sono arrivato il 17 giugno e il 7 luglio abbiamo già ripreso il campionato. Da lì è stato un continuo: partita, recupero, partita. Abbiamo già giocato venti gare e ne abbiamo perse solo due, una in campionato e una in Europa League, contro l’AZ”. Hiljemark è più giovane di cinque giocatori in rosa: “E che problema c’è? L’età non mi interessa, è solo un numero. La sfrutto a mio vantaggio: do voce spesso ai miei giocatori su situazioni di campo. Quando devi prendere tre punti non importa quanti anni hai, contano onestà, conoscenza e carisma”.

 

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“Juric, Ballardini, De Zerbi e Prandelli: vi racconto i miei maestri”

Il feeling da allenatore, in fondo, è da sempre dentro di lui. Era solo questione di tempo. “Già al Palermo parlavo di tattica con alcuni compagni”. Chi? “Ad esempio Gilardino e Maresca. Non a caso, oggi sono colleghi. “Con Enzo siamo rimasti in contatto e abbiamo parlato anche quando era al City con Guardiola. Inoltre, anche da giocatore avevo un diario su cui appuntavo considerazioni sul gioco e sulla leadership”. Nel suo personalissimo Zibaldone, Hiljemark ha raccolto idee di molti maestri – giocare nel Genoa di Preziosi e nel Palermo di Zamparini non può che aver aiutato a conoscerne tanti: Juric ci ha trasmesso uno stile di gioco intenso, Ballardini era un campione nella lotta salvezza, Prandelli una grande guida e De Zerbi un giovane innovatore che costruiva dal basso e viveva il calcio con passione folle”.

L’allievo sfida il maestro: “Solidità difensiva e esplosività, il mio piano anti-Roma”

Ora il destino ha dato a Oscar il primo grande appuntamento con la storia: l’allievo ritroverà il maestro Ivan Juric, che gli farà visita giovedì alle 21 con la sua Roma. “Mi ha portato lui al Genoa, ho provato il suo gioco sulla mia pelle. Ci ho messo mesi ad adattarmi: era uno stile nuovo. Un 3-4-3 con il doppio pivot, tutto intensità e uomo-a-uomo. Oggi se penso al livello di Elfsborg e Roma siamo su due pianeti diversi, ma non giochiamo solo per partecipare: ci proveremo. Di sicuro sarà una grande esperienza”.

 

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Come fare male alla Roma? Hiljemark non scopre tutte le sue carte ma ci dà qualche spunto: “Con loro chi vince il duello ha la superiorità. E chiaramente su quello hanno più qualità di noi. Ma speriamo di avere alcuni secondi qua e là nella partita per uscire dai blocchi e creare occasioni da gol. Dovremo essere solidi in difesa e esplosivi in attacco. Un appunto: solidità difensiva è un concetto che Oscar ripete spesso, lasciando trasparire tutto il suo lato “italiano” (e forse anche un po’ catenacciaro): “L’importante nel calcio è essere in controllo della gara, che non significa per forza avere il 100% di possesso palla: a volte serve essere compatti dietro e precisi davanti”.

Il 3-4-3 sarà la chiave della partita: l’Elfsborg gioca con lo stesso modulo della Roma. Allievo e maestro, dicevamo: “Loro però puntano più sull’intensità, noi sulla concretezza. E cercheremo di essere fluidi: non faremo né una partita di sole transizioni, né di solo possesso. Servirà un gran lavoro perché hanno qualità in tutti i ruoli, cambi che possono spaccare la partita, e pensano in fretta: è una caratteristica che Juric trasmette ai suoi uomini”. Non è un azzardo, dunque, dire che anche Oscar abbia assorbito questa lezione: stupisce la sua lucidità delle sue decisioni. La più pesante di tutte – il ritiro – gli ha aperto le porte di una seconda vita, in panchina. E questo nuovo viaggio già si intreccia con il passato, promettendo nuove, dolcissime, notti insonni.

A cura di Luca Bendoni e Nicolò Franceschin