Gol, tanta Premier e il “tuffo” con la Spagna: Van Persie-Feyenoord, ciak si (ri)gira 14 anni dopo
L’Olanda,
la sua terra. Il gol la sua natura. Dopo 14 anni Robin Van Persie è pronto a riunire origini e anima. Tanto, infatti, è passato
dall’ultima partita giocata con la maglia del Feyenoord, salutato in una
tiepida domenica di maggio. 02/05/2004, davanti ai quasi 40 000 del De Kuip si
gioca il match fra la squadra di Rotterdam e il Groningen. Ai padroni di casa
va male, battuti per 2 a 1 nel loro stadio. Robin entra verso il 60’, ma non
incide e vede gli avversari portare a casa tre punti a dir poco rocamboleschi,
grazie all’uno-due devastante messo a segno negli ultimi tre minuti di gara.
Non un ricordo memorabile, dunque. Non il modo migliore per salutarsi. Già,
solo un “ciao”. Perché non si è mai trattato di un addio e, da lunedì, sarà un
lieto ritorno al passato, laddove è cresciuto, vincendo il primo e unico trofeo
europeo della sua carriera. La Coppa Uefa della stagione 2001-2002, soffiata al Borussia Dortmund in una finale al cardiopalma, un 3 a 2 che dalle parti di
Rotterdam non scorderanno mai. L’ Esordio
nel febbraio del 2002, con gli 11 minuti
giocati nel comodo 5-0 casalingo ai danni del Roda. Tanta voglia di spaccare il
mondo, consapevolezza nei suoi mezzi ma non troppa, perché l’arroganza non sa
nemmeno cosa sia. Tanto è che il ragazzo, a fine allenamento, è solito rimanere in
campo. Sì, perché il tiro non è perfetto e allora lui cosa fa? Si sistema la palla e
calcia verso la porta. 20, 30,40 volte, fino a quando la gamba non fa male. Beh, vedendone i risultati possiamo dire che gli è servito abbastanza. Poi le otto stagioni all’Arsenal,
con cui vince Coppa d’Inghilterra e Community Shield. Segna a chiunque, tanto da portarsi a casa il premio di miglior giocatore dell’anno. La prima volta per un giocatore dei Gunners dopo Henry e per un giocatore olandese dopo Bergkamp. Poi i tre anni all’Old Trafford, con il
Manchester United che, pieno di dubbi per l’addio di Sir Alex Ferguson, trova
in lui e nei due titoli di capocannoniere vinti consecutivamente l’unica valida certezza. Il discorso cambia con Van Gaal, che lo cede
quasi senza preavviso al Fenerbahce. Nel mezzo tanti gol, soprattutto con
l’Olanda di cui diventa il miglior marcatore della storia, ma anche qualche
infortunio di troppo. Forte ma non così vincente, devastante ma anche fragile,
fisicamente parlando. Elegante, tanto fuori quanto dentro al campo. Come in Brasile, il 13 giugno di quattro anni fa. La sua Olanda strapazza la Spagna, Campione del mondo e d’Europa in carica. Finisce 5 a 1 quella partita, con le Furie Rosse che poi torneranno a casa già al termine dei gironi. Ma l’immagine più bella di quel giorno, la cartolina perfetta è il colpo di testa con cui Van Persie pareggia i conti dopo lo svantaggio iniziale. Un volo da fotografare e da analizzare, con gli occhi concentrati sul lancio di Blind e una torsione che non lascia scampo al povero Casillas. L’impatto è dolce come il volo e la palla s’impenna il giusto per scavalcare il portiere. Un gol spettacolare, forse il più bello fra quelli – già stupendi – con cui ha costellato tutta la sua carriera. Ora la carta d’identità dice 34, troppo vecchio diranno alcuni. Ma l’aria di
casa, si sa, ringiovanisce. Se poi ti chiami Robin Van Persie e hai il gol nel
sangue, allora diventa tutto più semplice. L’olandese volante pronto a colpire nella sua terra. Sembra il titolo di un film, la degna conclusione di anni di battaglie, vittorie, sconfitte, gioie e dolori. Van Persie-Feyenoord, che lo spettacolo abbia inizio.