Perché Donnarumma e Locatelli sono due eccezioni. Gioventù beata, cosa serve per arrivare in alto? Parla Vincenzo Raiola, in esclusiva
Beata gioventù. “Anche un pizzico fortunata”. Eh certo, il fattore C serve sempre anche se non capita mai per caso. Regola di vita. C di… crescita. Che deve essere costante. Preferibilmente al fianco di gente competente. Oppure di caparbietà. Mollare, mai. Altrimenti il treno passa e addio, son solo rimpianti e guai.
Perché se certi giocatori di calcio giovani(ssimi) e italiani arrivano lì in alto c’è sempre un perché. E occhio: il talento non basta quasi mai. Donnarumma e Locatelli sono due esempi – gli ultimi, in ordine cronologico – ma soprattutto casi isolati; sicuramente non la prassi, al giorno d’oggi. In Italia. Aggiungiamoci un purtroppo. “Bisogna migliorare il sistema calcio, ma dal basso. Dai bambini. Se quel terreno diventa qualitativamente ottimo allora sarà tutto più semplice per i settori giovanili di club professionistici” afferma Vincenzo Raiola, collaboratore e cugino di Mino. Uno che mastica calcio un giorno sì e l’altro anche. Uno che non si occupa solo di rappresentare giocatori ma che ci tiene a farli crescere, in un determinato modo. Professionale. Il come è racchiuso tutto in un esempio che ci racconta lui stesso in esclusiva: “Nella nostra scuola calcio, se il genitore fischia, insulta, se la prende o crea zizzania per difendere proprio figlio, l’allenatore della squadra punirà esattamente il figlio in questione con la sostituzione immediata. Stessa cosa se il genitore esulta in modo scomposto. Ogni azione del genitore ricade sul figlio così poi sarà lo stesso ragazzino a rimproverare il genitore, a casa”. Fondamentale mantenere i piedi per terra. Umiltà. “Vogliamo evitare pressioni inutili intorno al giovane. Che si diverta, che si sfoghi, che viva il calcio come si deve, come uno sport. Soprattutto all’inizio!”.
Dito puntato su tutte quelle società che non investono sui giovani. E per giovani intendiamo tutto quel mondo che li riguarda, dalle strutture a chi le gestisce. Ma attenzione, c’è una premessa importante da fare: “Bisogna avere un certo budget a propria disposizione”. Chiaro. E se non fosse abbastanza? “Migliorarlo. Ricavarselo”. Con stadi di proprietà, cessioni oculate, marketing e tanto altro. Cosa serve? In primis. “Allenatori competenti – e non per forza chi ha giocato sa allenare – che sappiano cosa stanno insegnando. Alcuni non spiegano nemmeno come si deve saltare di testa correttamente”. Il problema economico di fondo riaffiora, Vincenzo che conosce bene il contesto internazionale afferma. “Nel nostro paese ci sono mille allenatori che vengono pagati 600 euro al mese, all’estero preferiscono prenderne 20 e pagarne 1500 o 2000 euro”. Questione di mentalità. Differenti. “L’Olanda è grande come la Lombardia eppure delle mille scuole calcio che ci sono… sono tutte qualificate”. Da non dimenticare come “serve più attenzione da parte della Federazione. Bisogna controllare cosa e come praticano questo sport i ragazzi nelle scuole calcio”. Un’idea, Vincenzo ce l’ha. “Consiglierei alla Federazione di realizzare centri di formazioni regionali o provinciali, a seconda del volume demografico della zona. Di organizzare appuntamenti periodici con rappresentati e allenatori delle scuole calcio e perché no, condividere il miglior lavoro o progetto realizzato sui tutti i tesserati. Non bisogna limitarsi a selezionare i migliori giovani regionali convocandoli nelle varie rappresentative…”.
La base per un giocatore che deve maturare è una: giocare. Per fare esperienza. Fattore C, di crescere, appunto. “I ragazzi giovani hanno bisogno di giocare, provare, sbagliare”. Giocare, se necessario anche tra Primavera e qualche allenamento in prima squadra. Ma farlo con i grandi, per capire e farsi le ossa seriamente. “Kanis – suo assistito classe ’97 – ora si trova al Novara e pensa… ha rinunciato alla Nazionale per allenarsi con la prima squadra. Sta aspettando il suo momento, magari arriverà tra una settimana, forse fra tre mesi. Ci vuole pazienza. In questo caso è fondamentale seguire il ragazzo, trasmettergli la massima tranquillità. E’ complicato, lo so. Ma è un passaggio obbligato per qualsiasi giovane: chi tiene duro, avrà la sua ricompensa”. E quando le medio/big non concedono l’opportunità, una soluzione c’è: scendere di categoria. Dove, magari in B? “Difficile. Quando gli proponi un giocatore dell’Inter sai qual è la prima domanda? ‘Ma l’ingaggio lo pagano tutto i nerazzurri?’ giusto per farti capire”. E poi “valorizzano solo chi è di loro proprietà a meno che non si crei un giusto compromesso magari con una percentuale sulla futura rivendita in loro favore o con prestito con riscatto basso”. A proposito, Vincenzo continua e ribadisce il concetto. “Vorrei che la Federazione si sensibilizzasse in questo senso: i ragazzi giovani hanno bisogno di fare esperienza!”. Una soluzione potrebbe essere “una squadra riserve. La classica squadra B che c’è in Spagna. Ma è indispensabile che la qualità parta dal basso, come abbiamo detto. Altrimenti la squadra B diventa solo un costo (a perdere) per le società professionistiche”. Spesso le difficoltà sono di natura logistica, puramente di vita quotidiana. “Se un ragazzo di Salerno deve allenarsi tutti i giorni a Napoli e non ha mezzi, non ha un trasporto garantito… come fa? Uguale quello di Ventimiglia che è stato preso da una delle squadre di Genova. Per non parlare di chi vive a Cosenza o Matera.. il padre dovrà fare avanti e indietro fino a quando non si stanca. Sempre sia benestante e possa permetterselo. Poche società hanno la forza di fornire certi servizi: vitto e alloggio, per esempio”. E se un straniero forte forte dovesse arrivare in Italia? “Fagli studiare al più presto l’italiano con un professore, vedi come si adatta”.
Altri giovani molto interessanti sotto la sua ala sono Matarese del Genoa, La Ferrara di proprietà del Milan e Tazza del Bologna. Ma con un futuro incerto perché di spazio e costanza tra i più grandi non ne trovano e così faticano a sbocciare. Serve quell’altro fattore C. Di continuità. Che potrebbero cercare già da gennaio, in altre squadre però. “Obbligare le società ad avere in rosa ragazzi che provengono dal proprio settore giovanile è un passo importantissimo ma che si potrebbe rivelare inutile qualora questi giovani poi dovessero fare la spola tra panchina e tribuna per tutto l’anno”. Idee? Vincenzo Raiola ne propone una. “Permettere una quarta sostituzione, solo per i giovani del proprio settore giovanile. Magari con un limite, solo U-19. Magari qualcuno riesce a farsi notare…”.
Giovani, forti, di belle speranze. In lista anche Luca Pellegrini della Roma, Alessandro Tripaldelli della Juventus e Matteo Gabbia del Milan, classe ’99 e tutti Nazionali di categoria. Pure Andrea Malberti del Novara. Senza dimenticare quel Kean convocato da Allegri per una partita di Serie A a soli 16 anni. Anno 2000. Ah, beata gioventù. Ma anche fortunata, perché cresciuta nel modo giusto. Con competenza. Ma alla fin fine serve sempre un altro fattore C, che trasforma il buon giovane in grande campione. C di… costanza.