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Giorgino, mastino che ama Davids : “Che bello essere a Parma. Vi racconto Zeman… “

“Le dico subito una cosa, e voglio che la scriva: se sono qui, è perché merito di stare qui. Non è che ho giocato in A e mi appiccicano addosso questa targhetta di ‘giocatore fuori categoria’. Se sono qui è perché merito di stare qui, al Parma e in serie D. Ognuno è artefice del proprio destino, quindi se sono qui e non altrove è dipeso da me. Non sono un falso umile o uno che parla per farsi piacere. Devo dimostrare ancora di essere fuori categoria, altrimenti sono solo parole”.

Le chiacchierate con Davide Giorgino non sono mai banali, anzi. Il centrocampista di Brindisi parla di sé in maniera convinta e quello che sorprende è che non si nasconde dietro a nulla. Si prende le sue responsabilità come in campo, con un atteggiamento sanguigno che gli ha permesso, nel giro di un mesetto, di diventare uno dei leader di questo nuovo Parma, tanto che Apolloni lo fa giocare anche con un solo piede. Nel vero senso della parola perché Davide si porta dietro da un bel po’ un fastidio alla pianta del sinistro. Ma provateci voi a togliere il campo a uno che non molla di un centimetro.

“Sono cresciuto con il mito di Davids, mi piaceva per caratteristiche, quantità e qualità. Comandava in mezzo al campo, e io mi ispiro a lui, mi piaceva quella Juventus, giocava benissimo”. Lui non è un tifoso bianconero, né simpatizza per nessuna squadra, tifa solo Italia, “ora di più dato che c’è Conte, un motivo d’orgoglio avere un commissario tecnico della nostra terra. E’ stato spesso definito un sergente, ma è un uomo tutto d’un pezzo con un coraggio pazzesco. Pensate che ha scelto l’Italia anche se in un periodo non facile per il nostro calcio, è andato via dalla Juventus, ha allenato il Bari lui che è di Lecce e ha avuto dei problemi con la tifoseria anche dopo un gol segnato con la maglia bianconera. Veniva da un infortunio e ha esultato. Lo hanno attaccato… . Questi uomini decisi fanno bene al calcio”. Quel calcio che lo ha fatto crescere e diventare grande in una Brindisi piccola che gli ha voluto sempre bene. Ancora ha la sua famiglia li, “mia sorella Marina e mio fratello Lucio che lavora in una fabbrica e che, tra l’altro è stato anche un ottimo calciatore,  ha dovuto lasciare perché ha subito un infortunio grave. Mio padre faceva l’impiegato, quando è andato in pensione si è messo a fare il muratore per mandare avanti la mia famiglia, mia mamma è una casalinga. Pochi mesi fa ho perso mio padre, sono molto legato alla mia terra”.

Ha cominciato lì a giocare a calcio, al Paradiso, nei rioni polverosi e pieni di frastuono a Brindisi, così come comincia la maggior parte dei ragazzi a tirare dei calci al pallone. “Poi sono andato alla scuola calcio della Casale Sport e subito potevo andare al Piacenza, all’Inter, destinazioni gradite ma troppo lontane a quell’età. Mia madre e mio padre mi volevano tenere vicino casa il più possibile, fino a quando  arriva il Lecce. Mi vedono giocare, mi dicono che sono bravo. Corvino, all’epoca Direttore Sportivo del Lecce,  mi vede giocare una partita e il giorno dopo , mi chiama il presidente della scuola calcio perché Corvino sta venendo a casa mia a propormi un progetto importante.  Accetto,  e con il senno di poi, forse è stato meglio. Faccio dieci presenze in A con il Lecce, senza contare un settore giovanile pieno di soddisfazioni.  Vinciamo con gli ‘85 il titolo di Giovanissimi,  l’anno dopo perdiamo la finale nazionale con l’Atalanta e in Primavera, l’anno dopo, vinciamo due Coppe Italia, due Supercoppe e due Scudetti consecutivi. Avevo fatto un provino con l’Inter, tramite Inter Campus, che manda nelle regioni, dei selezionatori, che poi organizzano amichevoli con regioni vicine e questa selezione va avanti fino a formare due squadre da undici giocatori. Io sono uno degli ventidue, dopo la partita, il presidente della mia scuola calcio mi dice: ‘Davide,  l’Inter è interessata a te’. Io sono emozionato, c’è da andare a Milano. Ma per via dell’età resto a Lecce.  A Piacenza è andata diversamente: avevo undici anni, io sono andato li per tre, quattro giorni, ma prima del dodicesimo anno non potevo lasciare casa. Mi hanno detto che aspettavano comunque, ma è arrivato Corvino e sono rimasto a Lecce. Andavo a scuola, all’istituto tecnico industriale, e giocavo, sperando di diventare come Davids, anche se non era facile. Sinceramente se non avessi fatto il calciatore, mi sarebbe piaciuto aiutare mio padre a fare il muratore.  Mi  piace anche il mondo della moda e mi vedevo bene anche in un negozio a fare il commesso…”. Ma le sue armi sono state tenacia e costanza e dopo anni di sacrifici, riuscire realizzare il sogno della maggior parte dei ragazzi non è cosa di tutti i giorni.

Attualmente il sogno si chiama Parma:  “Se mi ha cambiato la vita? E’ una grossa piazza, quello che è successo mi ha facilitato parecchio, devo essere sincero. Mi arriva questa opportunità a trent’anni, in una società importantissima, con questa visibilità, con queste strutture e questa organizzazione che non hanno in altre parti, nemmeno in A. Io ho avuto la fortuna di giocare in posti dove ci sono tifoserie pesanti, dove scendi in campo e senti la pressione, il bello del calcio è anche questo, sapere dove sei, chi rappresenti. Ti da uno stimolo in più a superare gli ostacoli, qui a Parma è così”. E la cosa non può spaventarlo, anzi: “A Taranto era tutti i giorni così, se loro dovessero andare in B bisognerebbe costruire un secondo Iacovone. Mi creda, li il calore è pazzesco. E’ una piazza che merita la A solo per i tifosi. Non mi sorprende un pubblico così, ci sono abituato. Il calcio al sud viene vissuto in maniera viscerale, la gente lavora, guadagna poco e spende i soldi per andare allo stadio. Questo ci fa capire quanto siamo importanti e quanto serva e sia necessario dare qualcosa in più per fare felici tutti i tifosi. Ancora a  Taranto, abbiamo fatto un anno prendendo solo un mese e mezzo di stipendio e siccome eravamo primi e avevamo mercato un po’ tutti, abbiamo deciso di rimanere e cercare di vincere il campionato. Poi, dopo 8 punti di penalizzazione, non ce l’abbiamo fatta, ma siamo arrivati a due punti dalla Ternana, ci hanno applaudito, nel calcio esistono anche questi valori, i soldi sono importanti, ma tante volte si gioca per i valori umani, per quell’alchimia che si viene a creare con l’ambiente. Un esempio di questo è sicuramente quello che rappresenta Lucarelli che aveva altre proposte  e poteva guadagnare di più, ma ha dimostrato di essere un uomo sposando la causa senza remore”. Senza rancori, e rimpianti.

Proprio come Giorgino, che nell’arco della sua carriera ne ha viste tante. Non esattamente l’ultimo arrivato, uno che si allena con Zeman non può essere di certo l’ultimo passante. “Lui è uno di poche parole: vi racconto l’esordio. Lecce-Cagliari, il Cagliari di Zola. Cacchio, Zola mi aveva impressionato in quella partita. Ed era la prima volta che lo vedevo dal vivo, ancora non ci credevo.  Parliamo di un giocatore importante. Zeman mi fa entrare e mi dice: ‘Marcalo’. Io ho pensato: ‘Che Dio me la mandi buona’.  Appena entro, comincia a sterzare. Aveva una gamba da paura, faceva delle giocate incredibili. Loro avevano davanti Suazo, Zola ed Esposito, quell’anno andavano a tremila ma da due partite facevano fatica. Io mi ricordo che ero in panchina, dopo una tensione pazzesca nei primi cinque minuti arriva una palla altissima a centrocampo, con Zola che di tacco con una calma impressionante la smista. Io pensavo a me, a come dovevo comportarmi in campo, mentre Zeman mi dice: ‘Entra gioca e dai un’occhiata al dieci’.  Con Zeman avevo un rapporto eccezionale, sono stato l’unico insieme a Camisa a non fermarmi mai nel ritiro. Lui mi vedeva bene, mi portava in panchina, mi reputava il vice di Ledesma, un giocatore di cui ho una stima incredibile. Penso che calciatori e uomini come lui ne esistano pochi nel calcio. Uno del  suo calibro potrebbe fare comodo a chiunque”.

Era un bel Lecce quello, c’era anche Bojnov, “con cui ho giocato sia in prima squadra che nel settore giovanile. Mi ricordo che è arrivato in Italia con una magliettina, delle ciabatte e un paio di pantaloncini. Dopo la prima partita che ha fatto, mi ricordo che Corvino disse: ‘Non fatelo più partire’. E lui rimase con quelle scarpe da calcio e con quelle ciabattine per tre giorni. Aveva tutta la roba in Bulgaria”. Di Corvino che lo ha avvicinato al pallone, Davide ha ancora un bel ricordo. “E’ un grande intenditore di calcio, ha portato in Italia i talenti più cristallini. Senza spendere i soldi che ha speso la Juventus, il Milan o altri top club.  Pensate a  Vucinic. Io ho giocato con lui, vi posso dire che è un giocatore unico. Tecnico, rapido, veloce nel pensiero. Impressionante. Ha delle qualità fisiche incredibili, altro che, con Zeman facevano le scommesse sulle ripetute, doppiava la squadra e vinceva quando aveva voglia. Ha fatto questa scelta di andare negli Emirati arabi, lo aveva detto anche in passato di voler cambiare vita. Non è un campionato competitivo e lui gioca in scioltezza”.

E pensare che anche lui sarebbe potuto esplodere in maniera definitiva se non fosse per un episodio che cancellerebbe dalla sua vita: “L’unico mio rammarico è stato l’incidente in auto, a Lecce, quando avevo 20 anni. Ma qui è stata anche colpa mia. Al mattino presto ero uscito con la macchina ed è successo tutto.  Dopo di questo mi hanno mandato via.  Era l’anno delle 9 partite, potevo farne molte di più perché quelle disputate le avevo fatte alla grande. Questa è stata per loro un’occasione, perché hanno colto subito la palla al balzo per sbarazzarsi di me. Avevano deciso che dovevano giocare i grandi anche perché poi in B sarei cresciuto molto seguendo anche un percorso naturale. Mi hanno mandato a San Benedetto, ma avevo ricevuto altre offerte in B che loro non avevano preso in considerazione. Quando dico che ognuno di noi è artefice del proprio destino intendo questo… . La cosa da me poteva essere gestita anche diversamente…”.