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La lettera scritta da Gianni Di Marzio per Gianni Mura, all’indomani dell’eliminazione dell’Italia di Arrigo Sacchi dagli Europei del ’96

È stato ritrovato un carteggio tra il celebre giornalista Gianni Mura, scomparso il 21 marzo 2020, e Gianni Di Marzio. Vi riproponiamo, nella versione integrale, il testo, a difesa di Arrigo Sacchi dopo l’eliminazione dell’Italia da Euro ’96.

  

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La lettera di Gianni di Marzio a Gianni Mura

Hanno tirato giù l’Arrigo…

Caro dr. Mura,

confesso di essere avvinto dalla chiacchiera predatoria e, non contento, mi concedo anche il lusso di appartenere a quella minoranza che trova vergognoso il linciaggio in atto di Arrigo Sacchi.

Sacchi non poteva uscire “vivo” da questi europei perché la gran parte della stampa sportiva (!) non aspettava che la sconfitta per scatenarsi: egli è conosciuto come depositario di scienza calcistica, una fama che la gran parte dei commentatori sportivi rivendica invece per sé; Arrigo non poteva perciò avere scampo.

L’accusa è ormai scolpita nel marmo: nella partita contro i Cechi l’Arrigo aveva osato lasciare fuori squadra Zola e Casiraghi, capisce; avessero detto Maradona e Careca! L’accusa si basa su un assunto: con i due suddetti in campo l’Italia avrebbe sicuramente stracciato i Cechi. Avendo intere pagine di giornale a disposizione, non sarebbe il caso che questi signori si esercitassero, non dico a dimostrare (chè nel calcio parlato nulla si può dimostrare), ma almeno ad argomentare questo assunto? 

La sorte di Sacchi era segnata perché se, poniamo, l’Italia avesse ugualmente perso nonostante la presenza dei due grandi giocatori, anche lei, dr. Mura, non avrebbe accusato il tecnico di essersi portato dietro 22 giocatori per poi mandare in campo sempre gli stessi? E se, poniamo, l’Italia avesse vinto l’accusa sarebbe venuta buona in un’altra occasione: non è forse vero che la squadra che vince sempre non esiste? 

Quello dei processi ex-post è una tradizione consolidata del Bar dello Sport Italia; essa trova fondamento, probabilmente, in un’intima convinzione di essere i più bravi nel calcio (bisognerà pur eccellere in qualche cosa, posto che riconosciamo onestamente di essere indietro in molti altri campi della vita civile e culturale) e perciò destinati a vincere. Se non si vince, ciò è per colpa di una qualche slealtà: dell’arbitro e/o della fortuna, che non si sono dimostrati imparziali; o di un “tradimento”: del tecnico, ad esempio, per ciò che egli ha fatto e per ciò che potrebbe far dubitare del nostro sacrosanto diritto alla vittoria viene rimosso: carenze tecniche dei singoli, fragilità nervosa e conseguente crollo nei momenti topici,… sono tutte colpe del tecnico perché egli seleziona il materiale”. D’altra parte, non ci si può inimicare la tifoseria affermando che il Tale non merita la nazionale, ma si potrà pur sempre sostenere, non importa se ex-post, che quelli lasciati a casa erano i migliori.

Una delle colpe della TV, si sa, oltre che inibire processi mentali e di autocoscienza, è anche quella di far vedere troppe cose; fra esse in questi Europei, per restare nel nostro piccolo mondo di inibiti calciofili, la differenza che passa fra un buon giocatore, al massimo, e un fuoriclasse. Di quest’ultimo si dice abbia gli attributi e li tiri fuori quando è il momento; il fuoriclasse è tale perché può sbagliare in allenamento, ma non in partita, e non viceversa. Insomma, da nessuna delle squadre che hanno passato il turno ho visto fallire giocate come quella capitata a Casiraghi contro i Cechi; ho seguito la telecronaca di quella partita su France 2 e posso testimoniare il sarcasmo del telecronista francese: giustificato, secondo me, perché i giocatori transalpini ci hanno fatto vedere di meglio.

Caro dr. Mura, poiché nel calcio parlato si può affermare ciò che si vuole senza essere smentiti, mi lasci dire che un Suker non avrebbe fallito dove ha fallito Casiraghi o qualche altro (faccia lei) non avrebbe fallito il rigore della vita, e oggi Sacchi sarebbe il Re dell’Italia del pallone. Siamo ancora in repubblica, invece, ma è giusto che da questi europei noi si sia usciti, perché ci si convinca alla fine che non siamo i migliori: si può perdere anche per questo motivo e non necessariamente per le “malefatte” di un tecnico.

La stampa sportiva italiana quest’anno ha maltrattato spesso e volentieri un vero campione come Stojchkov; in questi europei, in una squadra onestamente non forte, a Hristo è stato chiesto di segnare un rigore che poteva essere decisivo, e lui lo ha segnato; di metter dentro una palla su punizione, e lui l’ha messa dentro; infine di inventare un gol, e lui l’ha inventato fra i più belli che si siano visti. Per la Bulgaria non è bastato, ma Stojchkov si è posto sicuramente tra i fuoriclasse della manifestazione. E’ solo un esempio, ma serve per sottolineare come troppo spesso si esaltino qualità tecniche non decisive dei singoli, sottovalutandone le atletiche e caratteriali. Il compito di Arrigo Sacchi, dr. Mura, come di qualsiasi altro allenatore, era ed è quello di mandare in campo la squadra migliore, non necessariamente i giocatori tecnicamente migliori. Che questi ultimi (se migliori realmente erano) avrebbero reso la squadra ancora più forte è una facile conclusione che andrebbe anch’essa argomentata, poiché la storia dei risultati delle partite di calcio ampiamente dimostra che una vulta su due ciò è falso.

A margine del rito antisacchiano non sono mancate rappresentazioni di un teatrino nel quale hanno recitato anche noti allenatori di calcio; alcuni di essi non hanno perso l’occasione di rincarare la dose sull’Arrigo, elencandone tutti quegli errori che essi, naturalmente, al suo posto non avrebbero mai commesso. Tra la folla giustiziera anche attempati signori ai quali si addirebbe invece un dignitoso riserbo; recentemente su “la Repubblica” una vera chicca mi è sembrata l’intervista a Vicini, presentato come una vittima incolpevole, licenziato, si è detto, “…per molto meno”. 

Mi sembrava che agli europei di Svezia, appena quattro anni fa, l’Italia non fosse stata neppure presente. Vale forse la pena di ricordare che la nostra nazionale, alla guida dell’Azeglio, fu eliminata nei quarti nel 1988 dall’URSS; non riuscì ad accedere alla fase finale nel 1992, impeditane da Russia e Norvegia (terribili e venti polari e delle pianure sarmatiche!); fu eliminata ai mondiali del 1990, i quali, è bene sottolineare, si giocavano in casa: Inghilterra, Germania e Argentina, nazioni calcisticamente “evolute” con le quali amiamo confrontarci, giocandoli in casa, i mondiali li avevano vinti.

Dunga, Branco, Mazinho, Reuter, Haessler, Moeller, Klinsmann, Sammer e altri: quanti, che hanno solevato (o solleveranno) le coppe che noi abbiamo perso, sono stati bocciati nel nostro campionato da questi tecnici di gran nome? Branco, che ha sollevato la coppa del mondo, non trovò una maglia da titolare nel Brescia di Bruno Giorgi, un tecnico ancora di buona stampa, che andava in Serie B; Zamorano, che oggi torna in Italia su un carro d’oro, qualche anno fa ebbe modo di contare i gradini del Comunale di Bologna. Come si può condannare Sacchi, colpevole di prendere troppo sul serio il suo lavoro, e far vfinta di nulla con chi ha fatto errori così macroscopici di valutazione? Allora, per questi signori Casiraghi non può andare in panchina mentre Sammer poteva essere definito qualcosa come un brocco? Mi son fatto questa idea: conserva un buon rapporto con la stampa, e il più, per poter essere definito buon allenatore, è fatto; lavorare seriamente è male: è indice di zelo eccessivo e di presunzione di sé, ciò che sminuisce chi di calcio solo parla o, al massimo, scrive.

A me sembra chiaro che andrebbe messa almeno in discussione una cultura calcistica, la nostra, se non avessimo altro a cui pensare, compresa quella che si manifesta quotidianamente nelle pagine sportive dei giornali. Ma non si può processare una cultura; molto meglio farlo al solo Arrigo Sacchi, che si pretendeva il numero uno dei numeri uno, e poi via con il prossimo. E se costui non fosse dei migliori, fosse diciamo il numero uno dei numeri due, allora sarà più facile quando verrà il suo turno.

Spendere tanto tempo e parole, accapigliarsi addirittura, per le vicende di ricchi attori dei campi di calcio, ai quali nessun dramma verrà dalla perdita delle fortune pedatorie, è eccessivo, glie ne do atto; ma io non di calcio volevo parlarle, dr. Mura, ma di una cultura, di quella che pervade il nostro modo di essere quotidiano, nel pallone e fuori del pallone, per la quale un “perfezionista” è un colpevole.

Con stima, 

Gianni Di Marzio