Turchetta, il Pifferaio Magico del SudTirol: “L’esultanza e il mio amico El Sha, vi dico tutto”
Una carriera con la valigia in mano e con il sorriso in faccia: sempre pronto a nuove sfide. Gianluca Turchetta si racconta in esclusiva ai microfoni di gianlucadimarzio.com: dagli inizi a Cesena, alla sua esultanza alla “Pifferaio Magico”. E quell’amicizia speciale con El Shaarawy…
Il Pifferaio Magico del SudTirol. Una fiaba che a differenza della versione originale ha un lieto fine sia per il protagonista, Gianluca Turchetta, che per i suoi tifosi i primi ad essere irretiti da suono del suo flauto ogni volta che il bomber, originario di Cesena, suona il suo flauto – dopo un gol – facendosi trascinare dalla sua coinvolgente esultanza. Gli unici a non gioire sono gli avversari. Gianluca Turchetta come nella leggenda, diventata celebre grazie ai fratelli Grimm, è un giramondo che si presenta in città per risolvere un problema. Lui di mestiere fa l’attaccante e dopo anni di girovagare “in lungo e in largo per l’Italia” ha deciso di fermarsi al SudTirol e suonare il suo fluato magico per questa squadra che milita nel girone B di Serie C e provare a regalargli un salto di categoria che tifosi e società meritano. Un ritorno più che una nuova avventura perché Gianluca già dal 2012 al 2014 aveva vestito questa maglia scoprendo un ambiente perfetto per lui dove cresce e maturare. Ai microfoni di gianlucadimarzio.com ha raccontato la sua fiaba, più allegra e meno tenebrosa di quella dei fratelli Grimm, e con un lieto fine tutto da scrivere.
“Perché il Pifferaio Magico? All’inizio mi chiamavano Mago Turchetta o Fata… i primi appellativi dei giornali erano quelli, ma non mi piacevano tanto e alla fine ho messo il carico segnando e suonando il flauto dopo ogni rete: ho fatto capire a tutti che volevo essere il Pifferaio Magico”. Da dove nasce questo soprannome? No, non c’entrano i fratelli Grimm, c’entrano gli amici di sempre: “È nato tutto dai miei amici storici di Ravenna… noi usiamo sempre definire una persona un po’ addormentata “flauto” o “flautino”.
Quando magari qualcuno un po’ si addormentava quando eravamo in compagnia a cena, o magari doveva tornare a casa prima o ci lasciava perché aveva altri impegni il giorno dopo, insomma per noi quello era un “flautino”. Era diventata una terminologia scherzosa tra di noi… alla fine mi sono detto che questa sarebbe diventata la mia esultanza. La volevo dedicare in qualche modo ai miei amici, e così ho fatto. È nato un po’ per gioco e un po’ così senza pensarci, alla fine sono diventato il Pifferaio Magico perché quando esulto mimo sempre il gesto di suonare il flauto. A Caserta, lo scorso anno, questa esultanza è scoppiata diventando quasi un tormentone tra i tifosi. Quando mi vedevano in giro non mi chiamavano nemmeno più per nome… ero il Pifferaio. Quest’anno al SudTirol mi hanno dedicato anche uno stendardo che cappeggia in curva ad ogni gara, non posso negare che è una grande emozione”. Una storia che già assume i contorni di una fiaba, quella di Turchetta: 27 anni e più di 150 presenze in Serie C condite da 20 gol e 18 assist. Dati che mettono in luce la volontà di essere il primo a dare una mano alla squadra prima che pensare alla propria gioia personale: il gol.
UN PAPA’ CALCIATORE, UN FRATELLO CON UN SOGNO INFRANTO E LE PRIME PUNZIONI SULLA TERRAZZA DI RAVENNA
Figlio d’arte Gianluca. Il papà Franco (no, non suonava il flauto) è stato uno dei protagonisti dello Scudetto 1984-85 del Verona. Una guida forte e con esperienza che ha segnato inevitabilmente la crescita professionale di Gianluca che da piccolo faticava a comprenderne gli insegnamenti, ma crescendo gli è stato tutto più chiaro: “Mi ha trasmesso lui la passione per il calcio. Sono nato con il pallone in mano, mio padre giocava lì in Serie A quando sono nato. Avevo un bel peso sulle spalle ma alla fine è stato anche uno stimolo. Sicuramente il rapporto con un papà che ha fatto il calciatore è un po’ diverso dal normale. Lui mi ha dato sempre tanti consigli, mi ha aiutato quando pensavo di non farcela e mi ha aiutato a correggere un po’ di difetti.
Mi ha insegnato a gestire vittorie, sconfitte, gioie e delusioni nel modo giusto. Non capivo a volte perché facevo bene e lui non sembrava soddisfatto, ma era solo un modo per aiutarmi a tenere i piedi per terra e non fare voli pindarici. Con il tempo, giocando a calcio, sbagliando e migliorando ho capito sulla mia pelle quanto fosse utile non esaltarsi troppo quando le cose andavano bene e non buttarsi giù quando non riuscivo a fare quello che volevo”. Severo ma giusto. E alla fine i risultati si sono visti.
Il calcio però non è una passione condivisa solo da lui e il padre, in famiglia. Anche il fratello Federico ha provato ad intraprendere questo percorso, ma ha avuto un po’ di sfortuna, ma nonostante questo non ha mollato e ora sta per iniziare la carriera da allenatore: “Sta per prendere il patentino, anche lui come me e nostro padre non riesce a stare senza calcio. Purtroppo Federico ha avuto un infortunio grave che non gli ha permesso di continuare a giocare. Ora è il mio mentore e mi dà un sacco di consigli sul rapporto giocatore-allenatore”. Una famiglia unita, come nelle più belle fiabe.
Ma dove avrà iniziato la sua carriera da calciatore? Come tutti in una scuola calcio, ma prima di questo doveva esercitarsi, mettersi alla prova: sbagliare e riprovare, come il papà Franco gli ha sempre ricordato. E allora quale luogo migliore se non la terrazza di casa? “A casa mia avevamo un terrazzo molto lungo e grande dove mia mamma stendeva i panni. Io dalla distanza cercavo di superarli con il pallone, quasi fossero una barriera. Non sempre ci riuscivo e mi prendevo delle belle sgridate… i panni erano tutti da lavare, di nuovo”. Ride, ma la sua voce trema… quasi a ricordare la paura di quelle sonore sgridate che da piccolo si prendeva per affinare la sua tecnica.
LA VALIGIA SEMPRE IN MANO E IL RAPPORTO SPECIALE CON IL SUO PROCURATORE
“Io bomber con la valigia in mano? Sì è vero, un po’ mi dispiace ma nemmeno troppo. Credo che chi faccia questo mestiere debba mettere in conto il fatto che non ci si può fermare sempre in un posto anche volendolo. Le dinamiche del calcio sono queste. Poi c’è anche un aspetto positivo: viaggiare e spostarti ti permette di conoscere posti nuovi, persone e culture diverse, ti arricchisce. Io ho girato l’Italia in lungo e in largo e dovunque sono stato mi sono trovato bene. Il SudTirol però mi è rimasto un po’ più nel cuore: dopo aver girovagato tanto quest’anno ho deciso di tornare qui dove sono stato bene. Qui credo che sia il posto migliore per farmi rendere al meglio e che si completi al meglio con quella che è la mia personalità”.
Una tappa fondamentale, un ritorno dove si è stati bene in un lugo che potrebbe definire “casa”. Il suo rapporto con questa società è profondo e poi se i tifosi ti dedicano uno striscione solo per te come fai a non sentirti uno di casa? Ma per Gianluca non è stato sempre tutto scontato, anzi. Proprio mentre la sua fiaba procedeva bene… le difficoltà sono arrivate ad abbattersi sulla sua carriera, ma come gli eroi delle fiabe, che più amiamo, anche lui non ha mollato e ce l’ha fatta a continuare a realizzare il suo sogno. Prima da solo, poi grazie al suo procuratore. "Sono stato a Cesena. Poi due anni al SudTirol e poi sono diventato del Parma che mi ha mandato in prestito a Barletta e Matera, sei mesi e sei mesi. Poi il Parma è fallito e lì dovevo prendere una decisione. Non è stato facile perché senza contratto e venendo da un campionato buono, ma dove non avevo fatto la differenza era difficile. Non è stato facile subito scegliere di ripartire dalla Serie D, ma non rimpiango questa scelta.
Sono ripartito dal Forlì. Lì mi trovavo bene, poi ero vicino a casa e non me ne sarei voluto andare, ma poi ho incontrato quello che attualmente è il mio procuratore: Emanuele Chiaretti. Mi ha detto che secondo lui potevo dire la mia anche lontano dalla Serie D. Io non gli ho creduto inizialmente e a Forlì mi trovavo bene. Mi ha chiamato tutti i giorni per una settimana: alla fine mi sono fidato e mi ha portato alla Maceratese, dopo 5 mesi mi voleva il Lecce. Ancora oggi lo ringrazio”. L’aiutante che aiuta il protagonista a raggiungere il suo sogno: sembra la rappresentazione reale dello schema delle fiabe di Propp, in realtà è solo la vita di Gianluca Turchetta. Una vita che non smette mai di regalare sorprese, come l’amicizia particolare con Stephan El Shaarawy. E chi se lo aspettava?
L’AMICIZA CON STEPHAN EL SHAARAWY
“Ci conosciamo da 6/7 anni, abbiamo un rapporto bellissimo. Ci siamo conosciuti per caso in vacanza grazie ai nostri procuratori e ancora oggi andiamo in vacanza assieme. Parlare e confrontarsi con un giocatore come Stephan che ha toccato e vive il grande calcio è qualcosa di incredibile per me. Ci scambiamo spesso consigli su ogni ambito del calcio: dal gestire la vita privata quando sei famoso come lui o la dieta migliore da seguire per tenersi in forma, il rapporto con i social, il gestire una sconfitta.
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A volte mi dice che guarda le mie partite, Io ogni volta che me lo dice non ci credo. Gli chiedo sempre se fa sul serio o mi prende in giro, lui ribatte che lo fa con piacere. Mi chiedo se non abbia niente di meglio da fare di una partita terminata 0-0 con un solo tiro in porta. Ci prendiamo in giro? Sì ogni tanto ci stuzzichiamo, magari se segno io poi gli dico: “Guarda che adesso tocca a te…”. Scommettiamo spesso? Sì certo. Per esempio adesso ne abbiamo una in palio se va in doppia cifra, l’ultima volta che ci è riuscito era al Milan. Cos’è? Non si può dire, top secret. Ma prometto che se supera i dieci gol in campionato ve lo dico”.
Ci lascia così, con questo dubbio, e una promessa di svelarci quale scommessa ci sia in palio tra lui e Stephan e un bagaglio di sorrisi perché quello che impressiona di lui è la semplicità con cui vive il suo mestiere e la sua famiglia. Valigia in mano o no, flauto o no… la fiaba di Gianluca Turchetta è unica e soprattutto “suona” bene.