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Giampaolo contro il suo passato: l’Empoli, il record e il riscatto

Per capire che effetto farà il (nuovo) appuntamento di Marco Giampaolo con l’Empoli, in un momento così delicato per la squadra di Andreazzoli, tocca fare un flashback. Un taglio secco, un “cut”, si direbbe nel cinema. Era il 2015, inizio giugno, un caldo afoso. Poco dopo le 14 il Suv nero di Marco Giampaolo entrava a Monteboro, il cuore sportivo dell'Empoli. Veniva direttamente da Cremona, lì in mattinata aveva rescisso il proprio contratto per dire sì all'Empoli. Non c'erano tifosi ad attenderlo, appena due giornalisti: la città era ancora innamorata di Sarri e del suo gioco e qualcuno neppure lo voleva quell'allenatore etichettato male troppo in fretta. 

Lo aspettavano Marcello Carli e Pietro Accardi, loro sì che lo volevano alla guida dell'Empoli: dicono che la dritta fosse arrivata da Maccarone, uno che nello spogliatoio azzurro non contava poco e che Giampaolo aveva avuto a Siena. L’incontro poi la firma, slittata solo per la cena di rito con il presidente Corsi. I nuovi allenatori azzurri passano tutti da lì: carne e vino rosso, a Giampaolo sarà sembrato di essere a casa. Lui uomo riservato eppure così mondano: alla sigaretta di Sarri preferiva e preferisce il sigaro, magari dopo una cena in uno dei tanti ristoranti stellati che ama frequentare. Un brindisi e via. Così è nato l'Empoli di Giampaolo. 

"Come se mi fossi liberato da un ergastolo”, avrebbe detto alla presentazione. Non ingratitudine verso quella Cremonese che lo aveva preso e rilanciato in Lega Pro dopo la fuga di Brescia, quanto la gioia per aver abbracciato di nuovo la Serie A. Uomo di campo e di lavoro, intelligente ed umile. Capace di regalare a Natale all’Empoli una classifica da sogno: 27 punti, ottavo posto. Il fantasma di Sarri messo alle spalle, i tifosi che lo aspettavano per un selfie fuori dal Castellani (in casa, o al ritorno di ogni trasferta) riconoscono il suo valore. E lo fanno anche ora che alla Sampdoria, quando il tempo permette un viaggio per salutarsi tra amici, continua a regalarsi a scatti superstiziosi come ai tempi toscani.

Giampaolo è un’eccellenza umana, prima che professionale. Uno che è nato in Svizzera da genitori arrivati a Bellinzona per lavoro, uno che da calciatore “poteva arrivare anche più in alto” giurano, uno che odia superficialità e mancanza di impegno. Nello spogliatoio azzurro aveva fatto affiggere un cartello: “La partita si gioca la settimana, non soltanto la domenica”. Slogan perfetto di un Giampaolo allenatore vero: bel gioco, idee, gioventù al potere e fiducia in un gruppo che seppe plasmare e coccolare. Anche nelle difficoltà e negli ostacoli che ha trovato nella stagione.Fino a quel derby contro la Fiorentina vinto 30 anni dopo l’ultima volta, immagine in evidenza di una stagione che è rimasta da incorniciare. Battuto il record di Sarri, salvezza conquistata in ampio anticipo e tanti gioielli valorizzati prima di salutare tutti. Sfiorò la Juventus e il Milan, Sacchi gli propose l’Under 21, lo voleva la Fiorentina per il dopo-Sousa. Ripartì dalla Sampdoria. Cut. E azione.