“Manchester hi-tech”. I segreti dello United: “Allenamenti sempre più nel futuro”
Intervista a Paolo Gaudino, preparatore italiano del Manchester United che giocherà la finale di Europa League: “Con la tecnologia è cambiato tutto”
“E pensare che a me l’inglese manco piaceva”. Ritrovarsi a Manchester da quasi dieci anni, con un sogno tutto da vivere. A 34 anni un preparatore è giovanissimo, ma non vuol dire che non abbia esperienza. Chiedete a Paolo Gaudino, l’unico italiano che vivrà davvero Villarreal-Manchester United, la finale di Europa League di quest’anno. È il preparatore per il recupero degli infortunati di Solskjaer: un lavoro tra campo e (tanta) tecnologia.
Gaudino, il preparatore italiano del Manchester United
“Sono a Manchester dal 2011”, racconta in esclusiva a Gianlucadimarzio.com. È di Villarbasse, un piccolo paese all’inizio della Val Di Susa, a una ventina di minuti da Torino. Nel paese, i Gaudino sono quelli che fanno il calcio. Paolo ride a pensarci: “Papà Claudio ha lavorato per quasi tutta la carriera con Lippi, anche lui è stato campione del mondo”. Ma chi pensa che sia arrivato a Manchester perché figlio d’arte, si sbaglia di grosso. “Stavo facendo un dottorato a Milano in collaborazione con l’università di Liverpool: raccoglievo dati sui giocatori in base ai GPS che venivano applicati durante gli allenamenti. Avevo un accordo per la mia tesi con lo United: all’inizio facevo questo lavoro per la mia Università, condividendo poi i dati anche con la società. L’anno dopo mi hanno chiesto se volessi restare”.
Dubbi? Forse uno: Paolo ha frequentato il liceo scientifico, e in inglese non andava benissimo. Ma rifiutare sarebbe stato da pazzi. “La mia prima stagione nello staff è coincisa con l’ultima di Ferguson. Ancora mi ricordo il suo discorso finale quando vinse la Premier”. Quando aveva cominciato ad allenare lo United, Paolo ancora non era nato. Sir Alex gli aveva dato fiducia, ed era stato assunto dal club. “Come lavorava? Durante la settimana era sempre al campo, ma guardava e interveniva solo se necessario: era un manager e aveva i suoi collaboratori in campo. All’inizio avevo continuato con le stesse mansioni dell’anno precedente, poi a poco a poco sono stato sempre più con i giocatori”. Rio Ferdinand, Giggs, Rooney… gente così. “La cosa che mi faceva più impressione era vedere che mi ascoltassero nonostante fossi molto più giovane di loro. È sinonimo di grande professionalità” commenta.
La tecnologia del Manchester United
Solo quest’anno Gaudino è tra i più vecchi del gruppo della prima squadra. “Sembra passata un’era” continua. “È cambiato quasi tutto. Qui a Manchester lavoriamo con una quantità di tecnologia che richiede molto aggiornamento da parte nostra”. Riviste specializzate in campo medico, certo, ma anche software e strumentazione. I GPS sono fondamentali, ma non unici. “Ci sono i droni, per esempio: filmano ore di allenamento per ragioni tattiche, ma ci possono servire per capire le dinamiche degli infortuni”. Non si può manco dire riavvolgere il nastro, ma il concetto è chiaro.
“Poi ci sono gli accelerometri, per calcolare la velocità di un giocatore, i misuratori di frequenza cardiaca. Ma questo è il meno: abbiamo i tapis roulant che lavorano in ipogravità, permettendo gli atleti di correre come se pesassero il 40-50% e quindi di non avere dolore alle articolazioni infortunate; ci sono le camere ipobariche dove ci si allena con vogatori o cyclette”. L’ultima novità potrebbe essere un laser di riconoscimento facciale, che andrebbe a ridurre a poco a poco l’impiego di GPS applicati sul corpo, rendendo più fluidi i movimenti dei giocatori. “È una tecnologia già sviluppata, che si sta cercando di adottare per il monitoraggio della prestazione fisica nel calcio e negli altri sport”, prosegue.
Quanto ci lavora? “Una volta il tempo libero poteva essere di più: c’erano le due ore di allenamento e si abbinava questo ad altri lavori, magari in forma privata. Ora è proprio full time: la riunione tecnica è alle 8.30 di ogni mattina, si resta fino alle 17 al campo, circa. Sei giorni su sette”. Lamentele? Nessuna. “È quello che volevo fare”. La vera svolta non è arrivata con Van Gaal, che pure lo aveva avvicinato ancora di più al campo, ma con Mourinho, con cui ha vinto proprio un’Europa League. “Quando era arrivato, nel suo staff c’era già il preparatore atletico e quello della riabilitazione. Ma lui mi voleva comunque con gli altri. L’arrivo di Solskjaer mi ha fatto fare un ulteriore salto in avanti: non aveva preparatori nel suo staff, così hanno promosso i quattro assunti dal club, tra cui me”.
Manchester United, Gaudino: “Quel secondo lavoro da traduttore…”
Comunicare ora è facile. “Anzi, a volte faccio anche da traduttore: ero diventato quasi l’interprete ufficiale di Darmian, e siccome so anche lo spagnolo perché ho studiato a Barcellona, a volte mi vengono a chiedere di spiegare meglio alla colonia spagnola che abbiamo qui”. Spagnola e sudamericana, anzi. E Cavani? “No, con lui parlo in italiano. Come con Pogba, Bruno Fernandes e Traoré”. Fare in modo che un giocatore possa tornare in campo il prima possibile è la sua missione. Rammarico? Uno. “Purtroppo a Danzica non potrò andare: il gruppo sarà ristretto, vista l’emergenza Covid”. Tiferà da casa, ma emozioni ne ha già vissute. Non se lo sarebbe immaginato.