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I segreti del Gambia. L’ex ct Mancini: “Calcio e passione, così diventano talenti”

Un italiano ha allenato la nazionale gambiana dal 2012 al 2013. Ha lanciato Omar Colley, Lamin Jallow e osservato da vicino un giovanissimo Musa Barrow

“I bambini in Gambia giocano a calcio ovunque. In strada, nelle piazze, in spiaggia. A piedi nudi. Costruiscono palloni di fortuna perché non possono comprarli. Non hanno nulla, eppure sono felici”. Un racconto schietto e sincero dell’esperienza in Africa. Luciano Mancini conosce bene il Paese. Ha lavorato come ct dal 2012 al 2013. È partito senza conoscere luogo e lingua. La voglia di allenare una Nazionale era troppo forte, per lui che fino a quel momento aveva guidato solo squadre dilettantistiche: “Ero ad Assisi. L’ambasciatore del Gambia venne a un evento in città. Qualcuno gli parlò di me, voleva portare un allenatore italiano sulla loro panchina. Quando mi chiamò pensavo fosse uno scherzo. Perché proprio io, pensai”. 


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Mancini non ha mai abbandonato il calcio. Nonostante il lavoro da vigile del fuoco: “Sono sempre riuscito a conciliare entrambi gli impegni”, ci racconta sicuro. “Organizzavo i turni in base agli allenamenti e alle partite. Ma non me la sentivo di lasciare”. L’occasione Gambia è arrivata a un passo dalla pensione: “Per fortuna – dice sorridendo -. Sono partito con mia figlia e siamo rimasti lì un mese per ambientarci. Non parlavo inglese, l’ho imparato. E ho iniziato a documentarmi anche sui giocatori”. 

L’ex ct ha girato il Gambia alla ricerca di giovani talenti: “I campi erano in terra, solo qualcuno aveva il sintetico. C’erano molti ragazzi bravi. Omar Colley, oggi alla Sampdoria, l’ho visto in una partita e portato in Nazionale. L’ho schierato contro la Costa d’Avorio di Yaya Touré, Gervinho e Bony. Non ha avuto paura. Come Jallow della Salernitana e Ali Sowe, ex Chievo e attualmente al CSKA Sofia”. Ragazzi cresciuti in fretta per regalare un futuro migliore alle loro famiglie: “Costruiscono la tecnica giocando ore e ore in strada. Non hanno bisogno di fare esercizio fisico. Lavoravamo sull’aspetto psicologico. Scendono in campo per divertirsi ma senza risultati non si arriva da nessuna parte. Gli spiegavo che dovevamo vincere per continuare a sognare”.

L'aneddoto con Colley e il pallone per i bambini

Tutti volevano trasferirsi in Europa per sfondare nel calcio. “A Colley dissi che ce l’avrebbe fatta”. Previsione azzeccata. “Capitava che mi chiamassero alcuni scout di club italiani per chiedere informazioni sui giocatori. Qualcuno è anche venuto in Gambia per osservarli da vicino”. Una terra più ospitale di quanto se ne racconti: “Non è l’Africa povera e arida dei documentari. Alcuni villaggi dell’entroterra sono così, ma sulla costa tante città si stanno sviluppando. Molti europei hanno deciso di investire in alberghi e attività commerciali in Gambia”. 


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La chiacchierata si interrompe per un attimo. Luciano vuole raccontarci un particolare a cui tiene molto. È rimasto legatissimo all’Africa e presto vorrebbe tornarci: “Avevano tutti un grande rispetto per me. Ogni volta che passeggiavo per strada mi accerchiavano. È il loro modo di dimostrare affetto. Sono sempre felici, non ho mai visto un gambiano incazzato. Quando uscivo dal residence in cui vivevo alcuni gruppi di bambini mi circondavano: “Coach, ball please”. Volevano che gli dessi un pallone per giocare. Io ne conservavo alcuni per loro, li portavo a casa dal campo. Ormai era un’abitudine”. 

"Barrow a 14 anni era già un fenomeno"

Sorriso e talento, qualcuno ce l’ha fatta a sfondare. E adesso lascia il segno in Serie A. Come i gambiani Barrow e Juwara, che con due gol hanno sconfitto l’Inter la scorsa settimana: “Hanno una predisposizione particolare. Quando giocano sono felici e spensierati, ecco perché gli riesce tutto. Barrow l’avevo notato nelle nazionali minori. Aveva 14 anni e già faceva il fenomeno”. Il sogno europeo si è avverato: “Hamza Barry e Sulayman Marreh sono rispettivamente con Hajduk Spalato e Gent. Hanno fatto esperienza in mezza Europa. Con me giocavano sempre. Ma nessuno di loro mi ha mai chiesto un aiuto per arrivare in una grande squadra. Pensavo solo a dargli spazio, così qualcuno si sarebbe accorto del loro talento”. 


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Missione compiuta. Quei ragazzi hanno dato tanto a Mancini, che oggi racconta le loro gesta con orgoglio. Ha accettato una sfida che altri non avrebbero neanche tenuto in considerazione. Da vigile del fuoco a commissario tecnico del Gambia. In giro per il Paese a guardare partite e scovare talenti. Conservando palloni per i bambini che ringraziavano con un sorriso. Magia del calcio, vera passione. Questo è il segreto del Gambia.