Galeano e Saramago, due squadre allo specchio: la prima volta di Uruguay-Portogallo
Nella tattica come nella letteratura ci sono personaggi che vanno oltre gli schemi: Uruguay-Portogallo potrebbe esserne una dimostrazione
Chissà quali parole avrebbe messo nero su bianco, Eduardo Galeano, per descrivere questo Uruguay. Lui, uno dei più grandi scrittori sudamericani del nostro tempo, con il debole per il calcio sublimato nel capolavoro «Splendori e miserie del gioco del calcio». E chissà quale personaggio gli avrebbe ispirato il Maestro Tabarez, che ha riso in faccia alla beffarda malattia che lo ha colpito, fregandosene e non lasciando la sua Celeste, seguendola e soffrendo per lei e con lei in panchina. Ci sarà anche un po’ di Galeano nella sfida degli ottavi di finale della Coppa del Mondo contro il Portogallo, anch’esso patria di giganti della letteratura come Fernando Pessoa e Josè Saramago.
“Se n’è andato, però è rimasto. In questo mondo ci sono finali che sono inizi, morti che sono nascite. Per lui è così”. Così parlava Galeano dopo la morte di Saramago nel 2010, cinque anni prima di andarsene anche lui. E il fallimento dell’Uruguay nell’ultima edizione della Copa America è stata un po’ come una morte sportiva dalla quale rinascere: due anni dopo, l’Uruguay è qualificato agli ottavi del Mondiale a punteggio pieno e senza aver subito gol, con una squadra solida e quadrata, ma che ha lasciato intravedere anche sprazzi lucenti di gioco.
Eduardo Galeano e il suo grande innamorato: il pallone
Un po’ come il Portogallo, che invece è reduce dalla storica vittoria agli Europei e che magari splende poco, ma sa come vincere. Sebbene in queste tre partite del girone abbia confermato la tendenza ad accusare fasi di gioco nelle quali esce dalla partita, distraendosi e prendendo gol. C’è però Cristiano Ronaldo, insieme ad un gruppo rinnovato ma non stravolto rispetto alla vittoria di Euro 2016, e per ora è bastato. L’Uruguay si è dimostrato invece più solido – difficile non esserlo quando i tuoi centrali sono Godin e Gimenez, l’Atletico Madrid insegna – e se nelle prime due partite ha badato soprattutto alla sostanza, contro la Russia ha cambiato modulo e offerto tratti di bel gioco. Lo schema di partenza di entrambe le squadre è infatti il 4-4-2, anche se a seconda degli interpreti sono numeri che possono assumere valenza diversa: ad esempio, nel Portogallo sugli esterni si sono alternati Joao Mario, Bruno Fernandes – che tendono a venire dentro il campo – Quaresma e Bernardo Silva che invece prediligono allargarsi sulle fasce. E se Cristiano è il punto fermo, in attacco al suo fianco ne ha giocate due Guedes e una André Silva. La difesa invece, quasi imperforabile durante le qualificazioni, ha subito una pericolosa inversione di tendenza, nonostante Pepe e Fonte siano rimasti ai loro posti. L’impressione è che tocchi al maestro Tabarez fare la prima mossa in quella che altrimenti sarebbe probabilmente una partita a scacchi abbastanza bloccata: una riproposizione del 4-3-1-2 visto contro la Russia, con l’innesto di Torreira al fianco di Vecino e Nandez e con Bentancur nell’inedito (fin qui) ruolo di trequartista, potrebbe un po’ sparigliare le carte e costringere il Portogallo ad alzare il baricentro senza bloccare troppo i terzini. Due squadre allo specchio, che si affrontano per la prima volta in una competizione internazionale (ci sono precedenti solo a livello di Under 20): probabilmente vincerà chi si muoverà prima fregando il riflesso della propria avversaria.
E poi, però, ci sono loro. Le variabili, “gli altri”. Quelli per i quali probabilmente questo Mondiale è l’ultimo da poter (sperare di) vincere, loro che esulano spesso da numeri, moduli e tattica. La traiettoria di Cristiano Ronaldo, soprattutto prima di diventare Cristiano Ronaldo, lì sull’isola di Madeira, piccolo e ancora come gli altri ma in fondo già diverso, sarebbe potuta essere una storia scritta da Josè Saramago, che in quanto a record poco o nulla avrebbe da invidiare al pluri-pallone d’oro, essendo stato il primo scrittore di lingua portoghese a vincere il premio Nobel per la letteratura, nel 1998. Dopo la tripletta contro la Spagna, l’autorevole Paolo Condò ha detto che “Cristiano pensa di poter vincere il Mondiale che questo è un grosso guaio per tutti” e quindi anche per l’Uruguay. Sa, come tutti, che se esiste un limite o un confine, Cristiano è quello che può superarlo. Dall’altra parte invece una strana coppia, se proprio bisogna trovare una parola che li accomuni andiamo sul sicuro con “gol”. Gli unici due uruguaiani ad aver segnato in tre edizioni del Mondiale, e lo hanno fatto sempre insieme. “Gol”, Galeano diceva che la prima parola pronunciata dai bambini uruguaiani è “gol”, ancor prima di “mamma”. E che la felicità ad un bambino non va spiegata, ma va mostrata dandogli un pallone da calcio e facendolo giocare. Suarez e Cavani, che il primo vagito mascherato dalla parola “gol” lo hanno emesso a distanza di tre settimane l’uno dall’altro e nella stessa città, giocheranno per ampliare il concetto, per dimostrare che la felicità sarebbe senz’altro anche tornare ad alzare una Coppa del Mondo 68 anni dopo.