Futuro di Roma? No, l’Antonucci d’Olanda: “Così giocavo con Kluivert e De Ligt”
Le giovanili dell’Ajax, il Monaco, poi il bivio: poteva andare in Spagna o in Italia, ha scelto il Volendam in seconda divisione olandese. Viaggio nel mondo di Franco Antonucci, promessa del Belgio U21
Il cognome e gli anni sono quelli dell’attaccante giallorosso ed era pure in squadra con Justin Kluivert. “Ma no, non sono parente. La mia famiglia è siciliana e i miei nonni a casa hanno sempre parlato italiano. I miei genitori poco. Io neanche un po’”. L’apparenza inganna, quando si tratta di Franco Antonucci. Tutti gli indizi dicono Italia, eppure gioca per l’U21 belga. Lingue: solo francese e fiammingo. Oltre al figlio di Patrick, il classe ’99 ha condiviso lo spogliatoio con De Ligt, Mbappé e Lemar. È di proprietà del Monaco. Oggi però corre in Eerste Divisie.
“È normale per noi giovani farsi le ossa nei campionati minori per poi provare a tornare su con più forza”, inizia a raccontarci il centrocampista in esclusiva per GianlucaDiMarzio.com. “In estate avevo offerte dalla Spagna, dalla Francia e anche dall’Italia. Ho scelto il Volendam”. Siamo qui, nella sede degli ‘altri oranje’: l’unico club professionistico del paese con i colori della nazionale. Giri l’angolo, e tutto diventa verde bottiglia. Le case in legno sul Mare del Nord, un paesello da cartolina, odore di sale e pesce fritto. Tracce di calcio? Poche. Però Franco non è così matto: “Qui conosco l’ambiente, ho ritrovato tante persone con cui lavoravo nell’Academy dell’Ajax. E mi ha voluto Wim Jonk”.
Un nome che agli interisti dovrebbe dire qualcosa: la Coppa UEFA con Bergkamp, ricordi degli anni ’90. Oggi l’ex centrocampista fa l’allenatore, di ritorno nella sua città l’estate della rifondazione societaria. Aveva iniziato anche lui dal settore giovanile dei lancieri, dall’altra parte del campo: “Ci eravamo conosciuti nel 2015 al De Toekomst”, Antonucci ricorda i tempi di Amsterdam. “È vero quel che si dice: è uno dei club migliori al mondo per i ragazzi. Lì ho imparato davvero tanto, assaporando ogni momento. La gioia del primo gol, gli stimoli di un ambiente super. E la preparazione degli allenatori. Chi mi ha insegnato più di tutti?” La risposta è ancora nerazzurra: “Aron Winter. Mi ha seguito molto, dandomi fiducia e facendomi sentire un elemento importante della squadra”.
Non era un undici come tutti gli altri. “La nostra U19 era davvero forte: insieme a Kluivert e a De Ligt abbiamo fatto la Youth League. È stato un piacere giocare con loro, si vedeva già che avevano qualità non comuni”. Con il sorriso e senza rammarico, Franco ci descrive i campioni dietro le quinte: “Sono ragazzi gentili e simpatici, mi avevano accolto molto bene. Con Justin siamo ancora amici: ho avuto modo di conoscere più lui di Matthijs, che già all’epoca giocava con gli Jong di Wim Jonk. Finito di allenarci andavamo a mangiare fuori e poi a casa a giocare alla play”. Ordinaria adolescenza. “Ma la cosa più importante, è che sono tutti e due ragazzi davvero semplici: non si sono mai montati la testa e anche per questo siamo sempre andati molto d’accordo”.
Per Franco tutto è rimasto lo stesso, tutto è cambiato. “Ancora oggi non mi piace tanto uscire, sono un ragazzo casalingo. E dopo l’allenamento sempre e comunque Fifa, o guardo la tv. La Champions”. Solo che i vecchi compagni sono finiti dall’altra parte del monitor. “Già. E lì faccio il tifo per loro. Ognuno fa il suo percorso”. Antonucci guarda al suo con invariato entusiasmo: “Ho sempre creduto nei miei mezzi, di poter diventare un giorno un grande giocatore grazie al lavoro e senza mollare mai. Nemmeno nei momenti più difficili”.
Quelli del centrocampista sono arrivati dopo il passaggio al Monaco. “Quando sono arrivato io era l’anno della semifinale di Champions”, quella persa contro la Juve. “La concorrenza era tanta e per me è stato difficile trovare spazio. Ma in una grande squadra è normale, dovevo essere paziente”. Era il Monaco di Mbappé, Lemar, Fabinho. “Tutti giocatori fortissimi: da loro si impara sempre, sia giocandoci assieme che semplicemente osservando quello che fanno”.
Un know-how che in pochissimi possono vantare alla sua età. “Il mio obiettivo è dare il massimo qui e poi tornare al Monaco: è un club fantastico, ci sono stato comunque molto bene e ho trovato sempre ottimi allenatori. Anche se non c’è lo stesso stile di gioco dell’Ajax”. Tutto nasce da quel numero 14. “Qui c’è la filosofia Cruijff, che per un centrocampista è un di più prezioso: mi considero un 8 o un 10”, Antonucci spiega i suoi pregi e difetti. “In quanto a tecnica e intelligenza di gioco non ho problemi, vedo anche bene la porta. Però devo ancora lavorare molto sulla crescita fisica e sulla fase di non possesso”.
Su chi vorrebbe sempre al suo fianco in campo, Franco non ha dubbi: “Frenkie De Jong. L’ho conosciuto all’Ajax, ma non ho mai giocato con lui né con Van de Beek. Hanno un modo di muovere la palla per me congeniale. Ma i calciatori che ammiro di più in assoluto sono Messi, Iniesta. E naturalmente Hazard. Qual è invece l’avversario più tosto che ho incontrato?” Qui invece Antonucci ci pensa un po’ di più. “Verratti”, esclama poi. “L’ho visto solo dalla panchina, ma doverci avere a che fare dall’altra parte del campo dev’essere dura. Soprattutto per un centrocampista di gioco come me”.
Il metodo Olanda funziona, il 2019 porta soddisfazioni. “Il primo gol qui a Volendam”, dice subito Franco. A cui si è aggiunto presto quello al De Toekomst contro gli Jong Ajax. Strano intreccio del destino, come la maglia del Belgio: “Il debutto con la nazionale U21 è stato un momento magico, un motivo di orgoglio anche per la mia famiglia”. Non farà parte della spedizione che finirà nel girone degli Azzurrini, durante l’Europeo di categoria in Italia, ma il primo gol è comunque dietro l’angolo: 15 ottobre scorso, contro la Moldavia. Il ct che ha fatto decollare Antonucci? L’ex Udinese Johan Walem, questa Serie A che non si leva di torno.
“Coincidenze”, sorride il ragazzo, “tutti e tre gli allenatori mi hanno dato tanto e un po’ di italianità me l’hanno lasciata. Da quelle parti sono stato solo a Milano, ormai un po’ di tempo fa. Però seguo tanto il campionato: tanti grandi club, sta diventando sempre più competitivo. E chissà. Se un giorno dovesse arrivare la chiamata giusta per giocare lì, ne sarei felice”. Prima però bisogna imparare l’italiano. “Certamente!”. Detto forte e chiaro. Senza bisogno di traduzione, questa volta.
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