#EURO2016: Esordio Italia, carta (non) canta
Sulla carta, l’Italia aveva già in mano il biglietto di ritorno da Montpellier. Prima di giocare. Prima di esordire ieri sera a Lione, in un clima di festa sugli spalti (di questi tempi, è una notizia), ma di scetticismo intorno al clan azzurro. Sulla carta, l’Europeo era già in tasca a corazzate che fanno dei singoli la loro imponenza. Come il Belgio, per esempio. Il fatto che il calcio sia uno sport di squadra e, come tale, richieda di armonizzare le caratteristiche tecniche e tattiche di undici giocatori, beh era passato un po’ in secondo piano.
L’Italia, dall’alto delle sue quattro stelle cucite sulla maglia, non si poteva permettere di essere esclusa dalle favorite. Un’onta difficile da sopportare, fino a quando si scende in campo. Fino a quando ci si dimentica dei nomi e dei numeri di maglia, per cantare sui divani, nei bar e allo stadio l’inno di Mameli. Una melodia che accomuna il popolo di commissari tecnici ‘ad interim’ – noi tifosi – con il CT della Nazionale Antonio Conte. Un personaggio che si può amare od odiare. La schiettezza, spesso, non fa scopa con l’empatia, ma la coerenza di Conte è andata sopra ogni cosa: credere in un gruppo che ha costruito nel corso degli anni, oltre il singolo, oltre il fuoriclasse. La Sua Italia, rigorosamente ed orgogliosamente Sua, ieri ha giocato come aveva programmato già da tempo. Non è stata perfetta. L’ardore agonistico, spesso, è sfociato in errori banali. Ma la coesione di questo gruppo era palpabile, usciva fuori dallo schermo.
Ci siamo emozionati allo stop chirurgico di Giaccherini, abbiamo sorriso dei segni dell’esultanza di Zaza sul viso dell’allenatore, abbiamo stretto i pugni ad ogni ribattuta della nostra difesa e tirato un sospiro di sollievo sugli errori di Lukaku ed Origi. Riguardando alcuni spezzoni di partita, grazie a telecamere aeree, le maglie azzurre erano armoniose nel loro movimento, nello scorrere da destra a sinistra, nel ripartire, nel pressing collettivo. Forse non bellissimi, ma efficaci. Forse non precisi, ma cinici. Forse non favoriti, ma vittoriosi. Salire, ora, sul carro dei vincitori sarebbe semplice, ma inopportuno. L’Italia ha vinto la prima partita, ma gli echi sudafricani rimbombano ancora nelle orecchie dei superstiti in campo e fuori. L’aspettativa e l’attenzione di tifosi, ma soprattutto degli avversari, si sono alzate proporzionalmente.
Venerdì, contro la Svezia, sulla carta partiamo da favoriti. Proprio come piace al nostro ego. L’unica certezza è che per Conte ed i suoi ragazzi, la carta conta relativamente. Preferiscono parlare sul campo, anzi urlare. Per aumentare l’autostima, già forte, di un gruppo sottovalutato, solo da chi non ne ha potuto appurare la qualità sul terreno di gioco. E non sulla carta.