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Ci piace pensare al calcio in modo romantico. Perché alla fine la storia è ciclica, tutto scorre e tutto torna. Parla il gioco. Ci piace pensare, e forse ne siamo anche sicuri, che a 4mila chilometri di distanza dal Luzniki, lontano da Mosca e dalla Russia, in Kazakistan e ai confini con la Cina, un tizio bassino e col peso della storia abbia sorriso, magari anche pianto, riguardando la sua vecchia “10” in un cassetto. Zittiva tutti, era irriverente, arrogante, fenomenale perfino nei suoi tempi morti. Andrej Arshavin. Accanto alla maglia, poi, c’è anche una foto del 2008, sbiadita ma attuale, perché come quell’impresa nessuno mai. Almeno fino ad oggi.

C’è stata la Russia, e poi la Russia di Arshavin. Da stasera ci sarà anche la Russia di Stanislav Cherchesov, Golovin, Dzyuba, Cheryshev e Akinfeev. Soprattutto quest’ultimo, decisivo con due rigori parati agli spagnoli. Il tutto dopo anni di critiche ed errori palesi, come nell’ultimo Mondiale brasiliano, quando una sua “papera” costò la qualificazione. La Russia batte la Spagna e passa ai quarti. Un’impresa. Non ci credeva nessuno, neanche i suoi tifosi, neanche i suoi cronisti, criticati anche da Dzyuba in sala stampa: “Dovreste avere più fiducia in noi, non siamo così male”. Aveva ragione.

5 gol all’Arabia Saudita, 3 all’Egitto, male con l’Uruguay e infine l’exploit, Spagna a casa e Russia avanti. Chapeau. Perché ognuno gioca con le armi che ha a disposizione, i punti di forza che ritiene di avere. Sarebbe stato inutile affrontare la Roja a viso aperto, no? Cherchesov ha indovinato la mossa tattica, sapeva che avrebbe dovuto giocare di rimessa piazzando 10 uomini dietro la linea del pallone, sperando in un colpo di genio di Golovin, un guizzo di Mario Fernandes. Magari un rigore. Così è stato, così ha sconfitto i re del tiki-taka. Astuto e furbo, senza qualità tecniche evidenti ma dannatamente efficace. Diverso rispetto a dieci anni fa, quando la Russia giocava bene e faceva impazzire gli avversari, l’Olanda dei top ne sa qualcosa e oggi guarda da casa. Come noi.

Euro 2008 immortale. Arshavin, Torbinsky, i fratelli Berezutski e infine loro, i tre reduci dell’altra impresa: Akinfeev, Zhirkov e Ignashevic. Stoici fino alla semifinale, persa proprio contro la Spagna. Una piccola vendetta verso chi fermò quell’incantesimo. Quei giorni sembravano lontani, un bel miraggio, un’oasi felice circondata da un deserto tecnico, poco talento, generazioni non all’altezza e figure. Guardateli ora, ai quarti di finale. Chapeau doppio e meritato. Questa non è una squadra irriverente come quella di Andrej, non è da dita sulle labbra per zittire tutti e neanche da golden boy del calcio. E’ una squadra operaia, che si aggrappa al talento di alcuni e alla grinta di tutti, non ha nulla da perdere: mai così lontana in un Mondiale da quando non è più l’Unione Sovietica. Ora i quarti. Sognando di rivedere un’oasi lontana ma mai scomparsa. Com’era bella la Russia di Arshavin. Com’è bella la Russia di oggi.