Pllumbaj, la vita oltre il calcio: “Mi davano per pazzo, ma ho la sindrome di Dunbar”
Credevano fosse pazzo, ma in realtà nessuno riusciva a riscontrargli la reale malattia: Ersid Pllumbaj ha dovuto combattere contro i pregiudizi e la sindrome di Dunbar. Oggi, a 31 anni, è a un passo dal rivedere la luce. E anche quel campo che tanto ama
24 agosto 2019, Ersid Pllumbaj, attaccante albanese classe 1989, ha appena terminato la rifinitura con i compagni di squadra. Il giorno dopo c’è la sfida di Coppa Italia tra Crema, squadra di Serie D dove era appena arrivato fortemente voluto dall’allenatore Alessio Tacchinardi, e Fiorenzuola.
Ersid si siede a tavola, ma durante il pranzo inizia a sentire un formicolio al braccio sinistro. Una sensazione stranissima, la stessa provata qualche giorno prima durante un’amichevole, quando il cuore durante uno scatto ha iniziato a battere molto più piano del dovuto. (Foto in basso di Franco Tognoli)
“Chiamano l’ambulanza, mi ricoverano in ospedale e mi fanno tutti gli accertamenti del caso, esattamente come successo dopo il malore di alcuni giorni prima in amichevole”, racconta proprio Pllumbaj a GianlucaDiMarzio.com. “Non trovano nulla che non va, mi dimettono”. Una storia a lieto fine caratterizzata solo da tanta paura vi direte? “No, perché da quel momento è iniziato il mio calvario”.
“Mi davano gocce per dormire, ma il mio era un male reale”
Un anno di visite specialistiche in alcuni dei migliori ospedali del nord Italia, ma i responsi sono unanimi: “È tutto ok”. Ersid però non sta bene, per nulla. “La mia è una battaglia difficile da spiegare, perché ho dovuto far capire a tutti, anche alle persone a me più care, che il mio non era un male ‘immaginario’ come i medici mi volevano far credere”.
“Mi dicevano di andare da uno psicologo, mi davano delle gocce per tranquillizzarmi e dormire. Ma io non ero pazzo, il mio era un malessere reale non un problema mentale”. Soffre tanto, Ersid. Tantissimo. Il calcio ovviamente diventa solo un ricordo, a stargli vicino è la compagna Elora. Una battaglia vissuta in due, fianco a fianco contro un male che in realtà non era immaginario.
La scoperta della malattia: sindrome di Dunbar
Settembre 2020, Ersid Pllumbaj è stanco, quasi non ce la fa più. “Sono a Milano a cena con alcuni amici. Uno di loro, conoscendo la mia storia, mi dice ‘mio papà è medico, ti fisso una visita con lui’. Accetto, anche se ormai ero quasi rassegnato al responso”. E invece no, il problema finalmente salta fuori e la diagnosi è precisa: sindrome di Dunbar.
“Una malattia rara che riguarda il tripode celiaco, un voluminoso ramo arterioso. Senza entrare troppo nel dettaglio: è emerso che questa arteria è otturata al 50% e ciò mi crea spasmi, spossatezza e tanto altro. Tutti problemi che non mi hanno mai abbandonato in questi lunghi mesi”. Ma per Ersid Pllumbaj la luce in fondo al tunnel è vicina. “Intorno a fine aprile dovrei risolvere il tutto con un intervento chirurgico, poi finalmente – se il mio corpo reagirà bene – potrò tornare a giocare”. E a esultare.
Maurizio Ganz, il calcio e una rinascita vicina
Perché prima della malattia Ersid inseguiva il sogno di diventare calciatore. “Fino al 2015 ho giocato in Promozione, poi ho avuto l’opportunità di andare all’Ascona, Serie D Svizzera”. Allenatore? Maurizio Ganz, oggi alla guida del Milan femminile. “Mi ha dato fiducia, mi ha riempito di consigli. È stata quella figura che fino a quel momento era sempre mancata nella mia carriera”.
E che Ersid, finita la parentesi in Svizzera, segue alla Bustese, Serie D italiana. “Faccio 18 gol nelle ultime 17 partite. L’anno dopo passo alla Virtus Bergamo, sempre in D, e faccio altri 18 gol. Mi vogliono Monza, Giana Ermino, ma alla fine scelgo la Pro Patria in C”. Avventura non andata bene, ma Pllumbaj non è tipo che si arrende facilmente. “Torno in D all’Arzignano, segno 6 gol in 17 gare”. Poi il malore e quel buio che sembrava avergli offuscato il futuro. Che oggi, invece, è pronto a tornare luminoso. “Anche grazie al calcio e a quella forza mentale che mi sono costruito durante il mio dolore. Perché se c’è una cosa che ho imparata è che non bisogna mai smettere di crederci”. Mai, nemmeno per un secondo.