Questo sito contribuisce all'audience di

Empoli, una salvezza targata Giampaolo. Dalla Lega Pro alla rinascita: e Sacchi lo ha consigliato al Milan…

Inizio giugno, un caldo afoso. Poco dopo le 14 il Suv nero di Marco Giampaolo entra a Monteboro, il cuore sportivo dell’Empoli. Veniva direttamente da Cremona, lì in mattinata aveva rescisso il proprio contratto per dire sì all’Empoli. Non c’erano tifosi ad attenderlo, appena due giornalisti: la città era ancora innamorata di Sarri e qualcuno neppure lo voleva quell’allenatore etichettato male troppo in fretta. Lo aspettavano Marcello Carli e Pietro Accardi, loro – dirigenti capaci e preparati – sì che lo volevano alla guida dell’Empoli: dicono che la dritta fosse arrivata da Maccarone, uno che nello spogliatoio azzurro non conta poco e che Giampaolo ha ritrovato 7 anni dopo “più in forma e più motivato”. Un incontro rapido rapido, in quella stanza al primo piano però stava nascendo il nuovo Empoli. La firma? Slittata di qualche ora, perché la sera c’era da andare a cena col presidente Corsi. I nuovi allenatori azzurri passano tutti da lì: carne e vino rosso, a Giampaolo sarà sembrato di essere a casa. Lui uomo riservato eppure così mondano: alla sigaretta di Sarri preferisce il suo sigaro, magari dopo una cena in uno dei tanti ristoranti stellati che ama frequentare. Un brindisi e via, il giorno dopo negli uffici dell’ad Ghelfi arriva anche la firma. Così è nato l’Empoli di Giampaolo.

Come se mi fossi liberato da un ergastolo”, dirà alla presentazione. Non ingratitudine verso quella Cremonese che lo aveva preso e rilanciato in Lega Pro dopo una fuga misteriosa da Brescia, quanto la gioia per aver abbracciato di nuovo la Serie A. Uomo di campo e di lavoro, intelligente ed umile. Il 3-5-2 provato e riprovato d’estate non funzionava proprio: lo aveva scelto per “timore” più che per voglia di rompere col passato, temeva che il mercato gli portasse via Saponara e non avrebbe avuto altri trequartisti. Quando Carli, a fine agosto, gli ha detto che il fantasista sarebbe rimasto, non ci ha pensato due volte: ha ascoltato il campo, lo spogliatoio, il passato. Un dna azzurro che diceva 4-3-1-2: detto, fatto. Inizio difficile, perché mica poteva essere facile il ritorno in A. Però ad Udine il “suo” Maccarone gli ha regalato il primo grande acuto. Da lì una grande cavalcata che sotto l’albero ha regalato all’Empoli una classifica da sogno: 27 punti, ottavo posto. Il fantasma di Sarri messo alle spalle, i tifosi che lo aspettano per un selfie fuori dal Castellani (in casa, o al ritorno di ogni trasferta) riconoscono il suo valore. Umano, prima che professionale. Uno che è nato in Svizzera da genitori arrivati a Bellinzona per lavoro, uno che da calciatore “poteva arrivare anche più in alto” giurano, uno che odia superficialità e mancanza di impegno. Nello spogliatoio azzurro ha fatto affiggere un cartello: “La partita si gioca la settimana, non soltanto la domenica”. Slogan perfetto di un Giampaolo allenatore vero: bel gioco, idee, gioventù al potere e fiducia in un gruppo che ha saputo plasmare e coccolare. Anche nelle difficoltà e negli ostacoli che ha trovato nella stagione. All’inizio, e nel girone di ritorno quando l’Empoli è rimasto senza vittorie per tre mesi: lui è stato con la squadra, e la società è stata con lui. Sempre. Fino a quel derby contro la Fiorentina vinto 30 anni dopo l’ultima volta, immagine in evidenza di una stagione da incorniciare.

Oggi la classifica dice 43 punti: uno in più di Sarri. Un fantasma definitivamente sparito, un allenatore che per Giampaolo non è mai stato un peso ma sempre un collega da elogiare. La salvezza era in tasca da una settimana, la festa del Castellani è l’istantanea che fotografa l’annata del rilancio. Il contratto scade a giugno, lui ancora non sa rispondere “se resterò o meno”. Sacchi, che due anni fa gli propose l’Under 21 azzurra che dovette rifiutare per un impegno già preso, lo ha consigliato per il Milan a Berlusconi e Galliani in quel pranzo ad Arcore dopo i funerali di Cesare Maldini, la Fiorentina intanto lo segue se Sousa dovesse andare via. E’ la sua vittoria, la vittoria del campo e del lavoro. Come quei cori dei tifosi, come lo striscione tutto per lui. Come la festa che gli regalano i suoi giocatori per la salvezza. Una salvezza targata Giampaolo, un uomo (ed un allenatore) che ha dato “anima e corpo” per l’Empoli e che l’Empoli ha restituito al calcio italiano.