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Il Belgio vince 2-1 contro il Brasile e centra la semifinale a Russia 2018. Un traguardo che in un Mondiale mancava addirittura dal 1986, quando una doppietta di Maradona pose fine ai sogni dei Diavoli Rossi.

Una vittoria di squadra, frutto di una intensità su entrambi i lati del campo mostrata da ogni interprete chiamato in causa da Roberto Martinez. Il suo Belgio – soprattutto nel primo tempo – è stato puro spettacolo, capace di mettere alle corde una squadra che di intensità e gioco veloce fa i suoi punti cardine.

Eppure, in un collettivo dall’alta qualità, un leader tecnico e carismatico è facile da individuare. Eden Hazard ha trascinato la sua nazionale ad un successo storico per la posta in palio. Lui che, nato nel 1991, un Belgio così in alto non può neanche ricordarselo. Ha invece chiara negli occhi la sconfitta contro il Brasile nel mondiale di Giappone e Corea, quando idoli come Rivaldo, Ronaldo e Ronaldinho lo portarono alle lacrime. Ora, è lui che fa piangere i brasiliani.

Nella sua partita della Kazan Arena, Hazard ha messo in mostra un mix di doti difficili da rintracciare in un unico giocatore. Qualità rara nel controllo di palla e nel condurre l’azione offensiva della sua squadra, ma questo non è una novità. Una capacità non indifferente di giocare a tutto campo, riuscendo a svariare tra destra e sinistra, dalla trequarti avversaria alla propria, sempre con la stessa fame, con gli stessi occhi. Ha chiuso la partita ricoprendo perfino il ruolo di prima punta, dopo l’uscita di Lukaku. E non ha toppato nemmeno lì.

Nella partita in cui tutti i riflettori erano puntati su Neymar, il 10 verdeoro, è stato l’altro numero 10, Hazard, a prendersi la scena. Si sono fronteggiati, il tempo di un attimo, al minuto 11: altro ripiegamento difensivo del capitano belga, finta ubriacante a lasciare sul posto l’asso del PSG. Potevamo già capirlo qui, quanta voglia avesse Eden di portare il suo Belgio in semifinale.

Oltre ad Hazard, ovviamente, i complimenti vanno fatti ad un gruppo giovane ma solido, conscio delle proprie doti ma umile nel non darsi mai per scontato, nel lavorare, nel migliorarsi. Sempre. Un gruppo capace anche di credere di poter battere la nazionale pentacampione del Mondo, la favorita, se di favorita si può parlare in un mondiale semplicemente imprevedibile.

Ora la semifinale, contro la Francia. Uno scontro agrodolce per Hazard, cresciuto, non solo calcisticamente, nel Lille. Vi approdò appena 14enne, nel 2005, con tanti dubbi, qualche numero, ma poche certezze. Se ne andò 7 anni dopo con una Ligue 1 in bacheca – conquistata con Rudi Garcia – e il titolo di miglior calciatore del campionato francese in mano, a sancirne il valore indiscutibile.

Una partita particolare, dunque, per il cuore del giovane Eden, divenuto Hazard nel paese transalpino. Ma il numero 10 sa che c’è un paese, il suo paese, che punta su di lui. E ha una fascia sul braccio destro pronta a ricordarglielo. Guiderà i suoi compagni, come ha fatto dal 14 giugno e come ha fatto stasera. Quando ha portato, finalmente, il suo Belgio in Paradiso.