“Dopo l’esordio in Serie A andai a lavorare in officina da mio zio”. Manolo Gabbiadini si racconta tra calcio e aneddoti fuori dal campo
Quella cadenza bergamasca non la perdi. Neanche se vai all’estero, neanche se giri (e vivi) l’Italia da nord a sud. E’ qualcosa di indissolubile, non se ne va col tempo. Senti modi di parlare diversi, respiri modi di parlare diversi, ma la tua terra ti resta dentro. Retaggio o dono? O semplicemente un’impronta, che emerge in una chiacchierata di fine ottobre con Manolo Gabbiadini.
Chiacchierata più che intervista: “Sto andando ad allenarmi, abbiamo tempo”. Trenta minuti complessivi, con qualche pausa per una connessione che stenta a dare un segnale limpido. Di trasparente, tanto, c’è già lui, Gabbiadini. Ragazzo vero, sincero, umilmente sicuro di sé e dei suoi mezzi: “Ma l’inglese all’inizio andava male”. Ci scherza su, aiutato dal talento: “Se segni è tutto più facile”. Perché l’impatto con l’universo Southampton fu un’escalation realizzativa: gol all’esordio, doppietta, due reti in finale di Coppa di Lega. Quella fu una sconfitta, ma con una prestazione super: “Comunque appena arrivato tutti mi hanno aiutato molto”, racconta in esclusiva ai microfoni di gianlucadimarzio.com. Momento d’oro per lui, con due ottime prestazioni tra Newcastle (doppietta) e WBA, quando in tribuna c’era tutta la sua famiglia al completo, con i genitori arrivati dall’Italia, oltre al suo agente Silvio Pagliari.
“Non sono un chiacchierone, come mia sorella d’altronde”. Già, la sorella di otto anni più grande. Melania Gabbiadini, calciatrice. ‘Vizio’ di famiglia, col terrazzo di casa teatro di numerosi scontri: “C’era sempre un pallone di mezzo e ammetto che spesso vinceva lei, d’altronde otto anni si sentono…però qualche volta mi faceva vincere!”. Una risata ad accompagnare questo flashback nel passato bergamasco, col presente che è più british che mai: “A Southampton sto benissimo, anche mia moglie Martina e mio figlio Tommaso stanno bene, ovvio che ci siano stati dei cambiamenti rispetto a Napoli. Là si faceva vita…napoletana, giri in centro, passeggiate sul lungomare. Qui in Inghilterra fa più freddo, quindi stiamo molto più in casa”.
Vita da genitori, quindi. Con qualche film da vedere tutti insieme e tanti giochi. Serie Tv? “In famiglia no perché abbiamo sempre poco tempo, quindi preferiamo i film. Quando sono in Nazionale però, c’è Netflix…”. E la domanda parte d’obbligo: “Suburra? Prima finisco la terza stagione di Narcos, mi manca. Poi sì, sicuramente guarderò Suburra”. Intenditore ma non fantallenatore: “Mai fatto il fantacalcio, non mi piace. In Inghilterra non c’è l’ossessione italiana per il fantacalcio”.
Calciatori però sempre sotto l’occhio vigile dei followers sui social, con o senza fantacalcio: “Non do peso ai social, quello che viene scritto con una tastiera non mi sfiora. Preferisco che le cose mi si dicano in faccia”. Onesto, Manolo. Sempre. Anche quando fa un altro flashback. Bergamasco ovviamente: #tb, esordio in Serie A. 14 marzo 2010, Parma-Atalanta. Esce Tiribocchi, entra Gabbiadini: “Ma il giorno dopo ero in officina da mio zio”. Ebbene sì, piede fatato ma mani pronte a sporcarsi di grasso: “Lavoravo 4 ore al mattino, non pensavo ancora di fare il calciatore professionista. Mi dissero di andare via, ‘Cosa ci fai qua?’, cose così. Che sarei diventato un calciatore l’ho capito dopo, quando fai la Serie B e vedi che torni in A”.
Esperienze. Giri l’Italia ma ti innamori di (e a) Bologna: “Tifo Fortitudo ma non sono anti-virtussino”. Rivalità cestistiche, roba da baskettari. Come un Natale a New York a vedere i Knicks, o le ‘gite’ a Bologna a vedere la sua Fortitudo: “Quando sono in città e giocano in casa, vado volentieri”. Una città che lo ha fatto innamorare, una città che lo ha visto innamorarsi di Martina. Oggi sua moglie: “Se la cava con l’inglese”, espatriata come Manolo. M&M, italiani a Southampton: “Però da italiano non posso non ammettere che penso di tornare”.
Intanto la vita è in Inghilterra, Southampton il centro del mondo-Gabbiadini. Con la Nazionale sempre in testa: “Non vedo un Mondiale senza Italia, nel mio Mondiale non può non esserci l’Italia”. Tifoso e calciatore, tra gli scherzi nell’internazionale spogliatoio dei Saints: “Io e i due irlandesi (Long, dell’Eire, Davis, capitano del Nord ndr) ci prendevamo in giro prima del sorteggio. Visto che nessuno è contro nessuno, speriamo di ritrovarci in Russia tutti assieme”. Un accenno a Long, compagno di reparto e: “Grande persona, grande lavoratore. E’ generoso, si impegna tanto. Chi fa grandi cose in allenamento è Boufal, deve ancora però adattarsi all’aggressività di questo calcio”.
Perché la Premier League è un calcio fisico: “D’istinto, ti invita a non mollare mai. Corrono tutti, appena togli la gamba perdi. Come vedo il campionato? Oggi dico Manchester City favorito, poi vedremo. Lo United non lo vedo benissimo in campo, mentre Conte lotterà fino in fondo”. D’altronde lo conosce bene: “Non fa distinzioni, apprezzo molto chi si comporta così”.
Perché è un ragazzo vero, Manolo. Un uomo anzi. Padre, marito, calciatore. Italiano all’estero, bergamasco a Southampton. Con quella cadenza empatica, d’impatto, che crea connessione, simpatia. E una mezz’ora che vola, in un martedì di fine ottobre.