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Djuric, il rugbista (e cestista) mancato: “Cesena la mia Itaca. Lavoravo in un parco giochi, vi racconto la mia storia…”

Ma chi è quello alto, con il codino? Bello grosso, eh! E come fai a scordartelo. “Sì, effettivamente sono uno che ‘colpisce’. Anche sotto porta? Ci provo, ma quello un po’ meno. Diciamo che non sono un bomber”. No, infatti, lui è l’Ulisse del fùtbol. Dalla Bosnia, all’Italia, a Pesaro. Qualche giro per lo Stivale, poi Cesena. E in futuro chissà, d’altronde al canto delle sirene è sempre difficile resistere. Milan, e se le sirene si chiamano Wolfsburg? “Chi non ne rimarrebbe ammaliato? E’ una grande squadra, sarebbe un passo importantissimo”. Ma, ora, si tappa le orecchie. Pensa solo al ‘suo’ Cesena e a quel play-off da conquistare. Una stagione positiva, condizionata però da diversi problemi fisici. “Ma contro il Novara voglio esserci, è una partita troppo importante”.

Chiaro, determinato. Lui, il primus inter pares dei marinai bianconeri. Lui, Milan Djuric. E una storia tutta da raccontare. Nato in Bosnia, poi si trasferisce subito in Italia. Parla benissimo l’italiano. Più che con le parole, però, preferisce parlare con quei 198 centimetri. “Nello spogliatoio me ne dicono tante. ‘Milan, ma quanto sei grosso?’. Questa è la domanda più frequente”. Alla quale Djuric risponde con il sorriso. L’Hulk dei Balcani? “Magari! Ma non ho mica tutti questi muscoli, eh! Per l’aspetto fisico – racconta a GianlucaDiMarzio.com mi paragonano a Ibra. Almeno i capelli sono quelli, dai. Non me li taglio da quattro anni, è una cosa nata per gioco con quella che in estate diventerà mia moglie. Belli sì, ma che fatica per asciugarli! Sono sempre l’ultimo ad uscire dallo spogliatoio. E pensare che li ho sempre avuti corti…”.

Poi Djuric parla della sua infanzia e qui, inevitabilmente, il tono di voce cambia. Serio, un po’ nostalgico. Un velo di sofferenza traspare dalle sue parole, ma anche un amore sconfinato e incondizionato per la sua ‘terra natia’ (essendo in ‘tema omerico’…). “Ho dovuto lasciare la Bosnia dopo appena un anno, con mia madre abbiamo seguito mio papà che precedentemente si era trasferito a Pesaro perché avevamo dei parenti lì. Per fortuna non ho vissuto la guerra, ma per sfortuna ho visto ciò che essa ha lasciato nella mia terra. Sofferenza, tristezza, rovine. C’è molta povertà lì, poi io venivo da un paesino in mezzo alle montagne. Comunque mi hanno sempre insegnato ad amare la Bosnia e ce l’ho nel cuore. Così come l’Italia, ora mi sposerò con una ragazza italiana e mia figlia è nata qui. Io e mio fratello siamo cresciuti a Pesaro. Anche lui gioca a calcio, nel Monopoli in Lega Pro. E’ centrocampista, peccato perché se fosse stato attaccante avremmo potuto fare qualche scommessa insieme…”.

Non perde il sorriso Milan. Un’infanzia tranquilla, fatta anche di sacrifici. Che lui ricorda orgogliosamente, perché ti fanno apprezzare la realtà contingente. “Mai scordarsi da dove si viene”, lo ripete. E lui ne ha fatti, prima di sbarcare nella ‘sua’ Itaca bianconera. “In età adolescenziale, non venendo da una famiglia benestante, cercavo di avere comunque una mia piccola indipendenza e così ho lavorato per un anno in un parco giochi per bambini e poi l’estate come cameriere in un hotel. Facevo la stagione, come si dice”.

Il calcio, il Cesena arrivano abbastanza tardi nella vita di Djuric. Con quel fisico lì potevi fare benissimo anche altri sport… “Sì, quando giocavo nella Vis Pesaro mi seguiva la squadra di basket, la Scavolini. Un giorno ricordo che due osservatori vennero anche al campo e rimasero impressionati dalla mia struttura fisica, ero una spanna più alto degli altri. Ma non solo! Poi ho anche giocato a rugby, facevo l’estremo. In tutta onestà ero anche abbastanza forte. Certo se ci vado a giocare ora mi spezzano in due. Per essere rugbista devi essere tosto!”.

Né cestista, né rugbista. Né bomber. Allora, cos’è Milan? “E’ un attaccante che gioca per la squadra, si sacrifica. Corre e lotta, o almeno ci prova. Nel gioco aereo me la cavo bene! E questa credo sia una delle mie migliori stagioni, peccato per quei due infortuni. Gravi? Direi di no. Ma con la mia massa fisica ci metto il doppio a recuperare. A Cesena sto benissimo, siamo una grande famiglia. I tifosi, la città , la società mi piace davvero tutto. Sì, possiamo dire che questa è la mia Itaca”. L’idolo del Manuzzi, d’altronde uno grosso così non puoi mica scordartelo! Un gigante buono, tranquillo. “E prima di entrare in campo prego sempre Dio, non solo per la partita ma anche per la mia famiglia che è la cosa più importante per me”.

Quando parla di sua figlia cambia di nuovo tono di voce: sincero, pacato, dolce. “Il mio hobby? Disney Channel, sul divano con lei. Non ci perdiamo un cartone animato!”. E nemmeno una partitina alla Play? “Qualche volta, ma raramente. Giochiamo a Cod (Call of Duty) con Sensi, Tabanelli e Rosseti. Devo dire che loro sono molto più bravi di me, beh hanno anche più tempo”.

Un anno pieno di emozioni per Djuric, ora in estate si sposerà. Tanti augur… Anzi no, anche se non sembra molto scaramantico. Tutto è iniziato più o meno in un giorno d’ottobre (e buona pace per la ‘malinconia’ del grande Lucio…): “Quel giorno di ottobre così emozionante che non lo ricordo nemmeno, è stato il momento più bello della mia carriera:  i gol con la maglia della ‘mia’ Bosnia davanti a tutta la mia famiglia. Grazie calcio per le emozioni che mi hai regalato!”. E Dzeko? “In Nazionale è un mostro, allucinante, impressionante. Davvero. Segna, tiene palla, si scatena. Purtroppo l’impatto con il calcio italiano è molto difficile”.

Che bel romanzo, Djuric-Odisseo. Ora, però, devi scrivere la pagina più bella. Una pagina bicolore, bianca e nera, con al centro una grande A. Beh, dai. Penelope ha già cominciato a tessere la tela…