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Dieci anni senza Nils Liedholm, signore del calcio e innovatore del gioco

I tifosi di San Siro s’alzarono tutti insieme dagli spalti infreddoliti e iniziarono ad applaudire. Era un pomeriggio in pieno inverno negli anni ’50 e Nils Liedholm aveva appena sbagliato un passaggio verso un compagno. Da mesi lo svedese, già bandiera dei rossoneri, rasentava la perfezione: mai un calo, mai un cedimento. Aveva talmente abituato tutti bene che solo un errore poteva fare notizia. E così San Siro e il suo pubblico dal palato fine, vollero tributare, per contrappasso, quel centrocampista così raffinato.

Un vero e proprio signore del calcio, garbato nei modi, posato e signorile ma anche ironico e divertente, con un gusto per la battuta ed un umorismo paradossale e di classe. Un vero e proprio mito, da calciatore prima, da allenatore poi, amato indistintamente dalle tifoserie, oltre le barriere dei colori e della fazione.

In campo correva tanto (anche se con una falcata non sempre velocissima) ma era anche capace di dosare con estrema pulizia i passaggi e le aperture per i compagni, con un senso del gioco che lo rese presto celebre anche a livello internazionale. Un vero e proprio faro, pronto a illuminare la scena. Era capace di interpretare parecchi ruoli diversi, grazie ad una spiccata intelligenza tattica. Con il Milan ha vinto tanto, grazie anche all’apporto dei connazionali Nordahl, centravanti dal tiro di pietra e dal senso del gol sentenzioso, e Gren, mente pensante del gioco ed abile costruttore della manovra. Con la Nazionale svedese ha vinto il titolo olimpico a Londra nel 1948 ed è arrivato anche a giocarsi il titolo mondiale in casa nel 1958, sconfitto nella finale di Stoccolma (nella quale andò pure a segno) solo da un ragazzino di 17 anni che avrebbe marchiato a fuoco la storia del football, un certo Pelè.

Quando ha appeso le scarpette al chiodo Liedholm ci ha messo non poco a diventare un allenatore di successo, ma alla fine ce l’ha fatta; inizialmente dietro le quinte prorompe in scena e scrive, anche qui, pagine di storia. Troppo intelligente, troppo proiettato in avanti per non emergere anche in panchina. Al Milan ha regalato lo scudetto della stella, nella stagione 1978-79, prima di accasarsi alla Roma, dove avrebbe vinto lo storico secondo scudetto dei giallorossi nel 1982-83, perdendo poi la finale di Coppa dei Campioni all’Olimpico, contro il Liverpool, nel 1984. Mai un personaggio banale, il Barone. Scelse la zona, facendo i conti con parecchio scetticismo. Molti erano diffidenti verso uno stile di gioco così lontano dal pragmatismo italiano. In realtà Liedholm seppe operare una fusione tra calcio innovativo e principi nostrani, facendo scuola. Famosa anche la sua tattica volta ad irretire gli avversari con folte trame di infiniti passaggi, con l’idea che ci si difende anche tenendo il pallone, non concedendo occasioni agli avversari non attraverso l’ostruzionismo ma con il possesso-palla. Alla Roma scelse di arretrare la posizione di Agostino Di Bartolomei, che da centrocampista divenne raffinato costruttore di gioco, impostando già dalla difesa. Un vero e proprio precursore in questi aspetti del tiki-taka spagnolo. Fondamentale anche l’idea di occupare gli spazi e inter-scambiare i ruoli, mutuata dal “calcio totale” olandese. Il concetto di “squadra liquida”, pronta a schierarsi in campo con moduli diversi a seconda delle situazioni di gioco nell’arco della stessa partita e con gli stessi interpreti, grazie al continuo movimento: tutto così in voga oggi; Liedholm ne è stato un anticipatore.

Il Barone, svedese trapiantato in Italia, ci lasciava esattamente dieci anni fa. Le lancette del destino hanno previsto anche questo e a breve Italia e Svezia si giocheranno un posto per i prossimi Mondiali. Ci piace immaginarlo così: con il suo volto simpatico, gli occhi vispi e il sorriso garbato, a stemperare con uno dei suoi aforismi la tensione.