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Dettagli, regole e sensibilità. Così Guardiola ha plasmato il suo Manchester City campione d’Inghilterra

Spogliatoio rotondo, le canzoni degli Oasis, La La Land e l’erba alta massimo 19 millimetri. Poi la dieta, i permessi e i dettagli tattici. Risultato? Manchester City campione d’Inghilterra. Ora sì, lo dice l’aritmetica, dopo un ko inatteso nel derby e la sconfitta (ancora più inaspettata) del Manchester United contro il WBA. Una storia già scritta da parecchie settimane che doveva però concretizzarsi definitivamente, un traguardo raggiunto con cinque giornate d’anticipo dai ragazzi di Pep Guardiola, l’artefice del trionfo che ora può guardare tutte le altre squadre dall’alto dopo una prima annata in cui sull’allenatore spagnolo erano piovute critiche anche molto pesanti.

Lo spagnolo – con i suoi citizens – è il migliore sia a livello di classifica che per quanto riguarda il gioco espresso. Dinamico, veloce e concreto. Un dato di fatto sotto gli occhi di tutti. Ma come ha fatto Pep a rendere questa squadra così bella e spietata dopo il fallimento dello scorso anno, quando il City aveva chiuso la stagione a 15 punti dal vittorioso Chelsea? In quel frangente il calcio proposto da Guardiola, che aveva dominato la scena al Barcellona (anche in Europa) e al Bayern Monaco, sembrava non adattarsi alla fisicità della Premier League.

Pep ha capito gli errori e le mancanze della passata stagione, ha rivisto il proprio credo calcistico legandolo alle caratteristiche della Premier. La rinascita del City quindi è data da molti fattori. Il gioco offensivo senza punti di riferimento, il ricambio dei terzini, il rendimento dei giocatori e… la cura maniacale dei dettagli. Il marchio di fabbrica del catalano in ogni momento della sua vita e del lavoro. L’allenatore è intervenuto sugli aspetti di campo e su quelli esterni, come rivela un’indagine del Daily Mail. Dettagli che possono sembrare insignificanti, come l’obbligo di cenare tutti insieme dopo ogni partita o di pranzare uniti prima degli allenamenti. Guardiola ha chiesto che lo spogliatoio fosse circolare e ha preteso che i giocatori e lo staff si esprimessero sempre in inglese. I ritiri pre partita? Non sono necessari.

Tutti aspetti mirati a evitare la formazione di gruppi all’interno della rosa, magari tra connazionali. Nessuno doveva credersi più importante di altri per la posizione occupata nello spogliatoio. E per tutti – naturalmente – solo musica degli Oasis. Per esprimere il suo gioco, poi, ha chiesto che l’erba del campo di allenamento e dell’Etihad fosse di 19 millimetri e non di più. Tunnel trasparenti per avere i tifosi più vicini, wifi disattivato in alcune zone per favorire le relazioni interpersonali. Tutte regole (già sperimentate nelle sue esperienze precedenti, in realtà) che non nascondono la sensibilità dell’allenatore catalano. Anzi, la amplificano. Emblematico è il caso di David Silva, che ha saltato qualche partita nel momento cruciale della stagione per stare vicino alla moglie in Spagna dopo la nascita prematura del loro figlio.

O come quando, dopo la pesante sconfitta contro l’Everton, ha portato tutti a vedere La La Land al cinema. I giocatori sono uomini: un concetto all’apparenza semplice ma non dimostrato e applicato con i fatti da tutti nel mondo del calcio. Guardiola ha così dimostrato di dare grande importanza anche al rapporto umano all’interno di una squadra che quest’anno è sembrata sempre compatta e pronta a dare tutto fino all’ultimo. “Bisogna essere duri senza perdere la tenerezza” è la frase che racchiude il suo modus operandi che è tornato a funzionare alla perfezione. Ora lo certificano anche i risultati. Il Manchester City è pronto a sollevare il trofeo, Pep si gode i suoi uomini, consapevole di aver creato una mentalità nuova a Manchester. Ancora una volta.

Riccardo Despali