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Deschamps, generale “fortunato” e campione del mondo. Di nuovo

Criticato, sempre in discussione, mai banale. Ha perso un europeo in casa e vinto due mondiali. Da giocatore, da allenatore, da “padre”

Ride e si mette in seconda fila. Guarda i suoi ragazzi stringere quella coppa che alzò per primo al cielo di Parigi 20 anni fa. Ha la giacca inzuppata dalla pioggia, nel giorno del matrimonio con la storia. Sposo bagnato, sposo fortunato. Come sempre, diranno i suoi strenui detrattori.

Ma se è vero che la sorte aiuta gli audaci, forse è normale che il destino premi ancora lui: Didier Deschamps, 50 anni da compiere a ottobre e campione del mondo per la seconda volta. Come la Francia. La prima volta la guidava in mezzo al campo, adesso lo fa dalla panchina. Ieri capitano, oggi allenatore. E padre di un gruppo talentuoso, multietnico, specchio della Francia di oggi e nato degli anni 90. Figli delle periferie e di un paese postcoloniale. Ragazzi cresciuti col pallone ai piedi, dribblando strumentalizzazioni politiche e conflitti sociali. Hanno vinto loro, figli del calcio, prima di tutto.

Sono coetanei o quasi di Dylan, unico erede di Didier. È nato nel 1996, a metà strada fra un mondiale vinto e uno clamorosamente bucato. Si, perché c’è anche questo nella storia di Didier il fortunato e della Francia. Quell’assenza a Usa ‘94, conseguenza dell’ harakiri nello “spareggio” di Parigi contro la Bulgaria. Era il 17 novembre del ‘93. Deschamps si disperava in mezzo al campo, Umtiti aveva 3 giorni.

Un giornale francese, il giorno dopo titolò caustico come Depardieu: “Qualificati per Francia ‘98”. Didier raccolse la sua truppa da terra e cinque anni dopo, grazie soprattutto alle magie di un ragazzo con le radici in Algeria, mise la prima stella sul petto.

Mbappé era nella pancia di mamma Fayza, Griezmann era un bambino di 7 anni che girava per Clairefontaine a caccia di un suo autografo. Pogba aveva 40 mesi.

Didier li abbraccia tutti nel temporale del Luzhniki. Affettuoso come un padre, orgoglioso come un condottiero. O viceversa, perché quella bufera costellata di sorrisi viene da una tempesta infinita.

Dalle critiche che hanno accompagnato il suo percorso sulla panchina francese. Dal 2012, quando prese il posto di Blanc. Un anno dopo rischiò di non qualificarsi al mondiale brasiliano. Playoff contro l’Ucraina, un 2-0 da rimontare, i fantasmi del ‘93. Cancellati da un tris miracoloso. C’era Benzema, che da un triennio non c’è più , dopo la diatriba – eufemismo – con Valbuena.

La mancata convocazione di Karim nell’europeo in casa del 2016, scatenò un vespaio e gli venne rinfacciata dopo la dolorosa finale persa al supplementare. Critiche e scetticismo popolare, fedeli compagni di viaggio di Didier. Erano anche nel bagaglio per la Russia, dopo una qualificazione sofferta nel girone con Svezia e Olanda.

Una pioggia di improperi per una squadra incapace di esprimere al massimo le proprie potenzialità. Fino alla finale, bollato come artefice del “non gioco”. L’hanno raccontato così i belgi, eliminati al penultimo atto.

Facile immaginare la reazione di Didier: un’alzata di spalle e il sorriso di chi ha percorso tutto il cammino per la seconda stella a destra senza mai giocare un supplementare.

Il sorriso di chi ha saputo cambiare in corsa, inserendo Matuidi e Giroud al posto di Tolisso e Dembélé dopo il debutto.

“Un mese e sei partite dopo, ha avuto ragione lui. Cittadino di Bayonne, ai piedi dei Pirenei, a un passo dai Paesi Baschi. “Cadetto di Guascogna”, lo avrebbe definito Guccini. “Meglio di Napoleone”, ha twittato il suo amico Alex Del Piero, che fu capocannoniere della Juve che Deschamps guidò in B. Era l’anno dopo Berlino, eravamo campioni del mondo in carica.

Oggi tocca di nuovo a lui, l’allenatore più sexy del mondo secondo “Glam mag”. Il più ricco, secondo la rivista “People with money”. La sua fortuna, quella economica, ha saputo costruirla attraverso investimenti diversificati: pizzerie a Parigi, una linea di vodka, una di profumi, persino una di cosmetici.

Un patrimonio di 200 milioni di dollari. E due coppe del mondo. Una da giocatore, una da allenatore. Il terzo a riuscirci, dopo Zagallo e Beckenbauer.

Il giorno di gloria è arrivato, dice la Marsigliese. Gli “enfants de la Patrie” vestiti di blu, l’hanno cantata a squarciagola prima del via. Poi hanno vinto, di nuovo. Sono francesi, ognuno con la loro storia. Figli della patria, delle periferie e del calcio. Ma soprattutto, figli di Didier, ragazzo fortunato e campione del mondo. Seconda stella a destra. Il cammino l’ha insegnato lui.