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Del Piero: “Tante analogie tra la finale del ’96 e quella di Cardiff, ma questa Juve è più forte”

La notte di Cardiff che si avvicina e l’addio al calcio di Totti, avvenuto solo tre giorni fa. Alessandro Del Piero si racconta ai microfoni di Qs, consigliando l’amico Francesco sul futuro e parlando delle sue finali con la Juventus: “Ci sono analogie incoraggianti tra la vittoria del 1996 e questa di Cardiff. Anche allora ci arrivammo eliminando una spagnola nei quarti, una francese nel turno successivo e poi all’epilogo superammo l’Ajax, che come il Real oggi deteneva il trofeo. Scaramanticamente, si può fare”. Continua Del Piero: “Ci sono anche suggestioni negative. Io ho perso tre finali, nel 1997, nel 1998 e nel 2003. E sempre avevamo appena conquistato lo scudetto. La Juve ha alzato la Coppa nel 1985 e nel 1996, cioè in stagioni in cui il campionato italiano le era sfuggito, ma quella di Allegri è una squadra che può ignorare i riferimenti al passato. Stiamo parlando di un gruppo che ha vinto sei titoli consecutivi in Italia e secondo me ha già una robusta ipoteca sul settimo, tra dodici mesi. È una Signora che ha l’abitudine anche mentale alle battaglie decisive. Poi, certo, lo ammetto, il Real conosce meglio l’atmosfera della Champions, è alla terza finale nelle ultime quattro edizioni, comunque sono tutte considerazioni che al calcio d’inizio te le scordi...”. Paragone con la Juve che alzò al cielo di Roma la coppa: “La Juve del 1996 non può essere paragonata a questa, allora avevamo ancora vinto poco, appena due anni prima i tifosi ci volevano menare dopo che il Cagliari ci aveva eliminati in Coppa Italia, Vialli lo facevano giocare a centrocampo perché non capivano come mai lo avessero comprato, eccetera. La nostra esplosione fu una sorpresa, ecco. Nel presente, c’è invece una consolidata sequenza di successi, è tutto diverso”.

Sull’addio di Totti: “Comprendo il suo stato d’animo, è stato anche il mio, forse è ancora il mio! Quando arriva il momento di smettere, ti rendi conto che si chiude un periodo della tua vita, non è semplice, ti manca anche la routine, l’allenamento ogni giorno, lo spogliatoio, quelle cose lì. Io dopo la Juve sono andato a conoscere un calcio distinto e distante, in Australia e anche in India. Sono state esperienze belle e comunque ancora adesso mi domando che cosa farò nell’avvenire… Auguro a Francesco di trovare subito un posto nella Roma, di avere un ruolo che gli permetta di restare nell’ambiente che è stato il suo sin da quando era bambino, prima di conoscere la Juventus almeno per me c’era stato il Padova, lui è stato sempre e solo giallorosso”. Si passa poi a parlare di Roberto Baggio: “Con lui parlavo in dialetto, non era una eredità comoda la sua, nemmeno a livello psicologico. Dovete capire che lui segnava il gol al Borussia in una finale di Coppa Uefa e io ascoltavo la radio, stavo dando l’esame per prendere la patente! Non siamo mai stati nemici, quando ci ritroviamo è sempre un piacere parlarci. In dialetto…Un giorno arrivano al campo i cronisti e mi fanno: Gianni Agnelli ha detto che tu sei come Pinturicchio, che ne pensi? All’epoca non esisteva Internet, non esisteva Wikipedia, chi diavolo fosse questo Pinturicchio non lo sapeva nessuno, nemmeno chi mi poneva la domanda. Me la cavai dicendo che era una felice intuizione dell’Avvocato, poi ho studiato e in effetti Pinturicchio era un allievo di Raffaello, che sarebbe stato Baggio e con il senno di poi era un bellissimo complimento”. Sulla vita extra-calcio “Quando guardo i miei figli spero di essere per loro un genitore bravo quanto lo sono stati con me mio padre e mia madre. Il più grande preferisce il basket al calcio, non gli imporrò niente. Il secondo va matto per il taekwondo e sono un po’ preoccupato, non vorrei che imparasse a menarmi. Comunque grosso modo sanno cosa ho fatto nel calcio, chi sono stato”.

Le viti gli hanno insegnato molto: “Da piccolo il mio campetto per giocare al pallone era un terzo erba, un terzo ghiaia e un terzo viti per il prosecco. Dovevo stare molto attento a conservare l’equilibrio, sulla ghiaia mi sarei tagliuzzato, sotto i tiranti delle viti rischiavo di tagliarmi il collo, forse l’arte delle finte l’ho imparata così, abbassandomi per non finire decapitato. Il destro a giro? Ah, ma adesso lo fanno tutti, era il mio marchio di fabbrica, ormai non c’è più gusto…”.