La Roma, lo United e l’amicizia con Pogba, Petrucci: “Vi racconto il mio viaggio in giro per il mondo”
Dalle giovanili della Roma alla chiamata del Manchester United, fino ad arrivare al presente: Davide Petrucci si racconta in una lunga intervista
Romanità. Nel vocabolario di Davide Petrucci la trovate in prima pagina. Quando parla della sua città sembra quasi emozionarsi. La porta sempre nel cuore, nonostante sia lontano da più di dodici anni. Romano e romanista. Cresciuto guardando Totti all’Olimpico e con il sogno di arrivare a giocare lì un giorno. Il percorso non è stato quello, ma Davide può guardarsi indietro e sorridere. Il suo viaggio è pieno di momenti che si porterà dietro per sempre.
Il viaggio di Davide Petrucci: l’amore per la Roma e la chiamata del Manchester United
Numero 10 sulle spalle ed etichette di quelle pesanti. “È il nuovo Totti”. Petrucci – attaccante classe 1991 che oggi gioca all’Hapoel Beer-Sheva – è cresciuto con paragoni di questo tipo. Ma non erano venuti fuori per caso. Davide nelle giovanili della Roma ha incantato in ogni categoria. L’exploit c’è stato negli Under 17, con Stramaccioni a guidarlo in panchina: “Avevo un ottimo rapporto con lui. Fu un’annata bellissima, mi trovò una posizione perfetta in campo. Feci tanti gol, mi diede una grande mano” racconta ai microfoni di Gianlucadimarzio.com.
Petrucci gioca e incanta. Il talento c’è e il futuro promette bene, così in tanti iniziano ad accorgersi di lui. Non solo in Italia: “Io giocavo in Nazionale e c’erano degli osservatori dello United che venivano spesso. Federico Macheda era già a Manchester, ricordo che uno scout lo venne a vedere e io giocai molto bene. L’osservatore ne parlò con lui e a me l’idea piacque. Al tempo lo United era il massimo. Da lì iniziarono a seguirmi, sapevano che a Roma non avessi un contratto”.
Le attenzioni dello United fanno piacere, ma Petrucci aveva comunque una priorità: “Il mio sogno era restare, sono tifoso romanista e chiesi alla società se fosse possibile avere un contratto al minimo federale perché le spese iniziavano ad esserci. La risposta fu negativa e quindi presi l’opportunità del Manchester”.
A 17 anni Davide lascia casa. Via dalla sua Roma che in fondo non avrebbe mai voluto salutare. Il sogno di giocare con la maglia giallorossa addosso svanisce, ma ad attenderlo c’è lo United. “Ero contento di andare a Manchester ma ero anche deluso, si chiudeva un capitolo per me. Da un lato ero dispiaciuto ma dall’altro molto emozionato”.
Nel 2009 Petrucci approda nel mondo dei Red Devils. Lì cambia tutto: “Le infrastrutture lì sono a un altro livello. Avevamo una struttura con venti campi di allenamento, tre piscine: parliamo del top mondiale”. Investimenti continui, cura dei dettagli e la mentalità di un club vincente: “Al tempo il club ti insegnava la storia, ricordo che facevamo lezioni sulla storia del Manchester. Ci facevano vedere le azioni di Charlton, Best. Volevano farci sentire quell’atmosfera. Per noi era obbligatorio andare a vedere le partite ogni domenica all’Old Trafford. È come un’Università che ti insegna tutto”.
Al tempo lo United era il sogno di ogni bambino. A portare il club a quel livello fu anche Ferguson: il capolavoro di quegli anni porta la sua firma: “Ferguson è una persona incredibile, davvero speciale. Era una presenza che sentivi ma allo stesso tempo ti faceva sentire a tuo agio. Sapeva tutto di tutti, ha incontrato i miei genitori, i miei nonni e i miei zii”.
Tanti gli esempi da seguire per Petrucci. Tra questi anche Cristiano Ronaldo: “Faceva il massimo, era esigente anche con i compagni. Con lui il rapporto era più distante, anche perché io nel primo anno mi sono allenato poche volte con la prima squadra. Lui usciva con Macheda, avevamo un gruppetto ma in realtà eravamo distanti. Ti dava l’esempio in campo, bastava guardarlo”.
Quando Davide ricorda quei tempi lo fa con il sorriso. Aneddoti, episodi e retroscena che tira fuori di continuo. Uno su tutti: l’amicizia con Pogba: “A Manchester ti mettono in una casa famiglia e tutti i ragazzi vivono nello stesso quartiere. Io sono due anni più grande di lui, poi è arrivato e stavamo in casa insieme. Gli ho fatto da apripista, abbiamo legato molto e siamo diventati amici. Gli ho insegnato anche il romano. Stavamo sempre insieme, magari mi capitava di vedere una serie tv in italiano e lui mi faceva delle domanda. Un periodo stavo guardando Romanzo Criminale e lo chiamavo con tutti i vari soprannomi della serie. Poi quando veniva a trovarmi qualche amico lui parlava in romano. Infatti quando arrivò alla Juventus già sapeva parlare italiano. Io e Macheda gli abbiamo insegnato un po’ di cose”.
Nuove amicizie, l’umore a mille e ottimi risultati sul campo. Petrucci aveva incantato con la Roma e stava iniziando a ingranare anche in Inghilterra. Poi, però, la magia finisce, lasciando spazio a tanti problemi fisici: “Avevo fatto molto bene alla Roma ed ero partito in modo ottimo a Manchester. In poco tempo sono passato alle Riserve e non aveva limiti di età. Ferguson mi mise anche in lista Champions League e feci l’europeo sotto età con la Nazionale. Poi ho avuto una pubalgia, l’ho curata male e non stavo facendo ciò che avrei dovuto fare. Alla fine me la sono portata avanti per quasi due anni. Ho perso treni troppo importanti”.
Così lo United nel 2013 decide di mandarlo in prestito in Championship, al Peterborough. Un anno lì, poi una stagione in Belgio al Royal Antwerp e infine un anno di nuovo in Championship, questa volta al Charlton: “Non sono stati dei prestiti adatti per me dal punto di vista calcistico. Però a livello umano e di esperienza mi sono serviti. Io cerco di trarre sempre un aspetto positivo da tutto. Ho imparato tanto, la Championship ha un livello alto. È un calcio molto fisico, c’è grande intensità. Forse non era adatto a me”.
L’addio al Manchester United e l’arrivo al presente
Siamo nel 2014. Davide è in Inghilterra da ormai sei anni. Dopo i tre prestiti è tornato a Manchester, ma di nuovo con la valigia in mano. Questa volta, però, partirà in maniera definitiva: Petrucci rescinde con lo United e sceglie il Cluj: “Avevo avuto l’opportunità di tornare in Italia ma mi ha sempre affascinato il mondo estero. C’è stata l’opportunità del Cluj e ho provato. È andata bene solo che sono arrivato in un momento in cui il club aveva dei problemi finanziari e non ci hanno dato la possibilità di giocare le coppe europee. È stata un’ottima esperienza, sono stato benissimo. La ricordo con tanta felicità”.
Due stagioni in Romania, poi si cambia di nuovo. Qui inizia il giro del mondo di Davide. Prossima fermata: la Turchia, con la maglia del Caykur Rizespor. “In Turchia c’è molta pressione, sono pazzi per il calcio. Se hai la fortuna di giocare con i top club è pazzesco, sono atmosfere uniche al mondo. A livello calcistico è stata l’esperienza migliore. Campionato di alto livello, stadi pazzeschi, tifo infuocato. Giocavi contro Eto’o, Sneijder, Van Persie. È andata molto bene, sono davvero contento di aver giocato lì”.
Un giro del mondo passato anche dalla sua Italia. Due anni (dal 2019 al 2021) divisi tra Ascoli e Cosenza: “Stavo fuori da tanti anni, avevo avuto un infortunio in Turchia e ho avuto l’opportunità dell’Ascoli. Era il momento di tornare, volevo riavvicinarmi alla mia famiglia dopo 11-12 anni e ho colto l’occasione. Anche l’esperienza con il Cosenza mi è piaciuta, mi sono sentito a casa”.
Ma la voglia di nuove sfide è sempre stata dentro Davide. Così, dopo le due parentesi italiane, ha scelto una meta tutta nuova: l’Hapoel Be’er Sheva: “L’Hapoel è una grande squadra, gioca nelle coppe europee. Mi piaceva l’idea di provare un altro campionato. La prima parte è andata bene, adesso sono fuori per un fattore numerico di stranieri”.
Oggi Petrucci è in Israele, ma in testa ha un desiderio fisso: “Vorrei tornare in Italia anche perché tra due settimane nascerà mio figlio, adesso sono qui da solo ed è un po’ complicato. Sarei comunque aperto a prendere una strada estera, ma a livello familiare ho l’esigenza di tornare. Abbiamo parlato con delle società, stiamo parlando. Vediamo”.
Passato, presente e futuro. Se Petrucciprova a guardare avanti: “A fine carriera mi piacerebbe aiutare i giovani a prendere delle decisioni. Vorrei aiutare i ragazzi a trovare il proprio percorso, una sorta di procuratore però con lo scopo di tutelare i più giovani”. E se si volta indietro: “Sarebbe troppo facile parlare ora. È andata così, ho fatto belle esperienze ed è stata una bella carriera”. Solo esperienze e ricordi indelebili: nella valigia di Davide non ci sarà mai spazio per i rimpianti.