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Il suo nome era Davide e faceva il calciatore

Un anno fa moriva Davide Astori. Capitano della Fiorentina, compagno di Francesca, padre di Vittoria

4 marzo. Un giorno che, fino all’anno scorso, abbiamo sempre associato a una canzone. 4 marzo 1943 racconta l’assenza di un padre. La cantava Lucio Dalla, il titolo era la sua data di nascita.

Il racconto del vuoto, lo stesso che provano dal 4 marzo 2018 Francesca e Vittoria. La compagna di Davide Astori e la figlia di Francesca e Davide.

“Qualcuno ha fermato il mio viaggio, senza nessuna carità di suono. Ma anche distesa per terra, io canto ora per te le mie canzoni d’amore”. Scrisse così Francesca, raccogliendo in un post le parole di Alda Merini dopo sette mesi di silenzio.

Messaggio straziante, come quello ricevuto quella maledetta mattina. Davide in una stanza d’albergo a Udine, lei a Firenze. Da quel giorno non ha più trovato la mano della persona che amava ad accompagnarla nel mondo, da quella mattina ha dovuto prendere per mano Vittoria e fingere normalità.

L’assenza di un padre, come nella canzone di Lucio Dalla, ogni giorno. Una serenità da mostrare a una bambina che il 17 febbraio ha compiuto 3 anni.

L’intensità più forte di quel dolore è nella quotidianità delle donne di Davide e nelle sobrie parole di Renato e Anna, genitori privati di un figlio.

Bisogna sempre pensare prima a loro quando ricordiamo Davide. Alla sua famiglia, alle persone che non riusciranno mai ad asciugare le lacrime. Il calcio, l’altra famiglia di Davide, si è fatta forza giorno dopo giorno.

Una famiglia che si è fermata, ha
pianto, si è unita mescolando colori, è ripartita. Ha provato a seguire l’esempio di
quel capitano gentile e coraggioso. A volte ci è riuscita, altre si è persa. Ma
continua a provarci, cercando di portare negli stadi gli stessi valori di quel
ragazzo così eccezionale nella sua normalità: rispetto, gentilezza, sobrietà,
impegno, curiosità.

Davide diceva di essere “calciatore nel tempo libero”. Avrebbe potuto essere un grande architetto o un “designer di fama mondiale”, come disse Milan Badelj ricordandolo nel giorno del suo funerale. Avrebbe potuto essere oggi un calciatore di 32 anni, reduce da un weekend di gioia o di delusione. Avrebbe fatto migliaia di foto nei suoi viaggi alla periferia del mondo. Ne avrebbe pubblicate poche, per pudore e per timidezza. La socialità la esercitava con un sorriso che al 13’ di ogni partita di questo weekend tutti hanno rivisto.

Gli occhi lucidi di chi ha fatto una parte del viaggio con lui, le lacrime di Ilicic, Pioli che abbassa la testa e ripensa a quel sorriso che passava ogni giorno davanti al suo ufficio. Il calcio si è fermato per un minuto, persino in un derby, con Lazio e Roma unite mentre si danno battaglia.

Stessa emozione di quella domenica 11 marzo, quando la Fiorentina tornò in campo ancora spezzata dal dolore. Vinse 1-0 con un gol di Vitor Hugo, il numero 31. Un 13 rovesciato. L’unica rete segnata dal brasiliano in Italia. Segni del destino, segnali dall’alto.

Lucio Dalla.

Uno come Davide gli sarebbe piaciuto e il 4 marzo forse avrebbe scritto qualcosa in suo onore, come fece per Ayrton Senna.

Asciughiamoci le lacrime e ripartiamo di nuovo.

Il suo nome è Davide e fa il calciatore. Corre e sorride in un altro stadio. Anche se non è più lo stesso stadio. Anche se non è più la stessa cosa.