Dall’Inter a Fano: Domenico Germinale, una carriera giocata di tacco. “Segno. E sogno un’altra occasione”
Cagliari, stadio Sant’Elia, 14 maggio 2006. L’Inter sta giocando contro i sardi l’ultima giornata di un campionato che qualche anno dopo scoprirà di aver vinto. Roberto Mancini fa esordire due ragazzi del settore giovanile. Due promesse dell’87, un difensore e un attaccante. Uno si chiama Leonardo Bonucci e la sua carriera la conoscete tutti. L’altro è Domenico Germinale, oggi gioca nel Fano in serie C e quella rimarrà la sua unica presenza nel massimo campionato. Un’apparizione che gli consente, almeno formalmente, di avere uno scudetto nel palmares. “Sì, vabbè, lasciamolo scritto che fa brodo…”, scherza al microfono di gianlucadimarzio.com. “Sfiorai anche un gol di testa su assist di Veron. Ogni tanto mi chiedo cosa sarebbe cambiato se quel pallone fosse entrato. Forse niente, perché la cosa più difficile è restare a quei livelli, mica arrivarci. Bonucci, per esempio, era un giocatore tecnicamente normalissimo, ma mentalmente già ruggiva. È quella convinzione così ostinata che ti fa essere un calciatore di serie A. Io invece lì ho perso il treno e quando inizi a scendere è dura risalire”.
Alla fine di quella stagione, Germinale decise di andare al Pizzighettone anziché restare nella Primavera nerazzurra. La prima delle sue 12 squadre professionistiche. Un giro d’Italia partito in Lombardia e arrivato oggi nelle Marche, a Fano. Una vita in serie C, con una sola stagione in B all’Albinoleffe.
Oggi ha 30 anni e nel girone B è un’istituzione. E lì, dove i tempi di gioco sono più lenti, il suo talento splende ancora cristallino. La settimana scorsa ha segnato un gol di tacco decisivo contro la Triestina. Manifesto del suo modo di stare in campo e, forse, anche di vivere. “Alla mia età sono più lucido e mi rendo conto di aver buttato tanto tempo. Aver fatto le giovanili in un grande club mi ha dato disciplina e grandi obiettivi, ma quando sono sceso di categoria la mia testa è un po’ cambiata. Quando ero a Benevento mi presentai alle visite mediche in dritta, senza aver dormito. Giocavo poco e avevo atteggiamenti strafottenti. Andare a ballare mi è sempre piaciuto e ho fatte un po’ di cavolate. E le ho pagate”.
Già ai tempi dell’Inter, a dire la verità. Una fuga d’amore in Sardegna gli costò un Europeo under 20 in Irlanda. “Avevo male a un ginocchio e una ragazza a Caniggione. Mancini mi convocò per un’amichevole contro il Chiasso. Non potendo giocare, pensai che fosse inutile presentarsi al campo e volai da lei per qualche ora. Quando tornai dall’isola, Beppe Baresi, nostro responsabile del settore giovanile, mi disse che l’Europeo lo avrebbe giocato un altro al mio posto. S’impara sempre dopo…”.
Oggi Domenico è cresciuto ed è il trascinatore di una squadra che nel gennaio scorso ha scommesso sulla sua voglia di rinascere dopo il crociato saltato a Bassano. “Sono rimasto fuori 300 giorni. Speravo di affermarmi a Padova, ma non ero ancora pronto. Per fortuna a Fano hanno puntato su di me. L’anno scorso ci siamo salvati di rincorsa, quest’anno è iniziato male ma adesso stiamo cambiando marcia. Anche grazie a mister Brevi che ci sta facendo lavorare di più sull’intensità”.
Già, Oscar Brevi. Per la quinta volta in carriera ritrova Germinale. La prima a Como, la penultima l’anno scorso a Padova. Dall’inizio di novembre è il nuovo allenatore dei marchigiani. Ha preso il posto di Agatino Cuttone, arrivato a gennaio in corsa per salvare, riuscendoci, il club. Un inizio di stagione faticoso, solo 5 punti in dieci giornate, lo ha condannato. Brevi ne ha messi insieme altrettanti in 5 partite. La squadra è sempre sul fondo della classifica ma il vento sta girando. “Stiamo lavorando di più sull’intensità. Dobbiamo ricordarci che due anni fa eravamo in serie D, forse all’inizio lo abbiamo un po’ dimenticato. Con Brevi mi sono sempre trovato bene. Lui apprezza i giocatori di personalità, che lavorano forte in allenamento. Io spesso mi faccio odiare dai miei compagni più giovani perché voglio il massimo dell’impegno. Alla loro età Materazzi mi massacrava, ma io ho sempre preferito quelli che mi urlavano contro rispetto a chi mi dava finte pacche sulle spalle. Spero di poterli aiutare a crescere. Questo gruppo ha tanto da dare. A parte il Padova, che merita di stare in testa, non vedo squadre fortissime. Possiamo salvarci, ma io credo che potremmo anche fare qualcosa di più”.
Un discorso che vale per il Fano ma anche per il futuro di Germinale. Quest’anno ha già 5 gol e un assist all’attivo. Ha il compito di salvare il Fano e poi chissà. “Sono ancora un sognatore. Non mi sento affatto i trent’anni. Forse avrei bisogno di un’occasione. Fabio Pecchia, che mi ha incrociato negli anni di Foggia, mi ha sempre seguito. Mi piacerebbe avere un’altra possibilità ad alto livello, magari all’estero. Continuo a crederci, fisicamente sono forte e mi alleno meglio di prima. Con un obiettivo ancora più prestigioso, forse riuscirei a rendere ancora di più, chi lo sa”.
Prolungare la carriera e sognare di risalire. Nessun piano b. Perché il calcio, per questo ragazzo di Treviso, è sempre il centro di tutto. “Mi sono iscritto a un’università privata ai tempi di Como. Un corso di moda e design. Ho fatto un esame di Storia dell’Arte: ho preso 22, poi ho smesso. Ci ho rimesso 4200 euro in compenso…”.
Domenico Germinale oggi è un uomo che guarda senza rancore il ragazzo che avrebbe potuto fare di più. Accanto a lui ci sono Maya e Martina, i suoi inseparabili cani. Lo seguiranno ovunque, in qualsiasi tappa futura della sua carriera. E saranno i primi a fargli festa se Domenico realizzerà quei sogni rimasti ancora nel cassetto.