Dalla curva del Velodrome alle magie al Piacenza, Taugourdeau: “A 18 anni in Italia, Ventura mi chiamava Dudù. E l’esordio al posto di Birindelli…”
Diciotto anni, tanti sogni e un biglietto di sola andata per l’Italia. Della serie: prendere o lasciare. Scelta ardua, di quelle che non ti fanno dormire la notte. Da una parte la tua passione più grande, dall’altra gli amici di una vita, la città nella quale sei nato e cresciuto. Au revoir Marsiglia, l’epilogo. Il brivido di tentare la fortuna, di inseguire quel sogno: un richiamo troppo forte. La monotonia non fa per lui. Stile rock, anche in campo. Lui è Anthony Taugourdeau, centrocampista del Piacenza.
Un salto indietro, a nove anni fa. A quella valigia che stentava a
chiudersi, alle pacche sulla spalla degli amici. ‘Vado o non vado?’… ‘Vado!’. Se lo è ripetuto convinto, tre volte, davanti allo
specchio per prendere coraggio. L’essenza dell’avventura, di provare un qualcosa di nuovo. Bello così, il risultato
poi conta sì ma relativamente. “L’inizio non è stato facile. Non parlavo una parola
d’italiano. Dopo una settimana –
racconta ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com
– i
miei genitori mi vengono a trovare e gli dico subito… ‘Riportatemi con voi in Francia,
qui non ci voglio più stare’. Alla fine mi hanno convinto a rimanere in Italia
e quella è stata la mia fortuna”. Lo dice con un bel sorriso, ormai si è ‘sistemato‘ Taugourdeau, tanto per usare un termine molto caro alla cultura italiana: ha
trovato la donna della sua vita, ha un bimbo. “Mi hanno dato la serenità di cui avevo bisogno, mi hanno
fatto crescere molto”.
E quel triste incipit ormai è solo un ricordo lontano. Molto lontano, insignificante. “Anche se è stata dura. Sono arrivato in prova alla Spal, dovevamo fare la C2. Poi mentre eravamo in ritiro siamo stati ripescati in C1. Io lì per lì non lo avevo nemmeno capito, sicuramente sono state più chiare le parole dell’allenatore Dolcetti: ‘Sei bravo, hai talento. Ma sei ancora troppo giovane per fare la C1’. Così sono andato al Pisa e ho ritrovato il sorriso…”. Via la timidezza iniziale, via tutto. Determinato a non mollare Taugourdeau, pochi minuti per impressionare Giampiero Ventura… “Che dal primo allenamento mi chiamava ‘Dudù’ perché il cognome era troppo difficile da pronunciare. Amichevole pre-campionato, tiro da centrocampo… e gol!”. Con tanto di suspense. Un nuovo inizio: consapevolezza e fame. “Oltretutto in Italia si mangia benissimo”. Ah, allora ormai ti sei affezionato… “Sì, assolutamente. Faccio anche fatica a parlare in francese quando torno a Marsiglia. Spesso mi invento proprio le parole, gli amici mi ridono in faccia. L’Italia è un po’ parte di me, tranne che per una cosa…”. Cannavaro, Berlino, Zidane? “Esattamente, ricordo che ero in un bar con gli amici e abbiamo rosicato”.
Tipo tranquillo, molto calmo. Pacato, un po’ timido… “Qualche anno fa ho incrociato di nuovo Ventura, però per paura di disturbarlo non l’ho nemmeno salutato, era impegnato. A lui devo tanto…”. Estremamente riconoscente Taugourdeau, mai scordarsi di chi ci ha fatto del bene: “Ventura mi ha fatto esordire tra i professionisti, in Serie B. E per di più a Bari, davanti a 35mila persone, non avevo mai visto uno spettacolo simile in vita mia. Sono entrato al posto di un campione come Birindelli, un’emozione incredibile tant’è che ho toccato 5 palloni in quella partita, ne avrò persi almeno 7…”. Auto-ironia e spiccato senso dell’umorismo, qualità importanti. E’ anche sinonimo di intelligenza mettersi in gioco. In tal senso, dunque, sei una sorta di primus inter pares… “Un po’ per sfortuna, un po’ per necessità. Quell’anno lì il Pisa è fallito e sono dovuto ripartire dal Carpi in Serie D. E’ stata un’esperienza importante, Ventura mi ha dato tanto. Allenamenti a duemila all’ora, massima intensità, preparatissimo in schemi e movimenti. Tutte cose a cui magari da giovane non dai troppa importanza, che poi puntualmente ti ritrovi”.
Ma se hai qualità e credi in te stesso, prima o poi la chance – quella giusta – arriva. Non importa dove, non importa quando e non importa come: arriva. Umiltà, voglia e sorriso. Al resto ci pensa il fato che, spesso, è anche benevolo, virtuoso nel premiare chi merita. Taugourdeau-Piacenza, è subito scintilla d’amore. Cupido, colpito e affondato. “La vittoria del campionato dell’anno scorso è stato il momento più bello della mia carriera. Siamo un gruppo fantastico, ci divertiamo e stiamo bene insieme. Poi da quando un nostro ex compagno ci ha regalato un biliardo da mettere nello spogliatoio…”. Cene e aperitivi pagati, ma tu o gli altri? “Generalmente Pergreffi che è il più scarso. Saber invece vince sempre. Ne abbiamo comprati due o tre non ricordo, come potete immaginare si rompono facilmente…”. Se la ride e sottolinea, “un gruppo così bello non l’ho mai avuto”. Bello e…possibile! Come la doppietta contro il Siena nell’ultima giornata di campionato. Calcio di punizione di quelli da far saltare i tifosi dal divano… “Diciamo che sono uno di qualità, la quantità la lascio agli altri”.
Idee chiarissime Taugourdeau, in campo e fuori: “Se non avessi sfondato nel mondo del calcio probabilmente avrei fatto il maestro perché amo troppo i bambini”. Si nota dal braccio destro, completamente ricoperto da tatuaggi per il figlio. Dalla curva del Velodrome, “una volta ero un grande tifoso”, alle magie in quel di Piacenza. Panta rei, tutto scorre. Ma, in ogni caso, siamo noi i capitani del nostro domani. Siamo noi a dover decidere in che direzione far girare la bussola delle nostre vite. Vero, Anthony?