Dal Canto, il bello d’esser (un po’) bohemien: “Arezzo, la mia seconda giovinezza…”
La nostra intervista ad Alessandro Dal Canto, allenatore dell’Arezzo.
In numeri – Settimo posto nel girone A di Serie C, pienissima zona playoff. Trentasette gol fatti, ventotto subiti. Numeri assai significativi quelli dell’Arezzo di Alessandro Dal Canto. Rivelazione? Beh, ormai solida realtà…
La storia – Come in un film, prosaicamente impegnato, difficile da decifrare, criptico nel suo svolgimento. A volte ci piace chiamarle montagne russe, altre ancora ‘alti e bassi’, il nostro protagonista, invece, non ha alcun dubbio… “Chiamiamola vita! Se fosse un moto rettilineo uniforme sarebbe fin troppo facile…”. E’ questo l’incipit della nostra lunga chiacchierata. Leggera, piacevole, effervescente.
Un timido sorriso e l’inconfondibile folta chioma riccia. Ci accoglie con grande cortesia Alessandro Dal Canto per le vie del gaudente centro storico di Arezzo, una città tranquilla, piacevole, davvero ‘a misura d’uomo’ (fa sempre un certo effetto scriver così nell’era della riscoperta del ‘chilometro zero’…). Cominciamo la nostra digressione, torniamo indietro di dieci anni… “Dai, non dire così che mi fai subito sentire vecchio”, sottolinea lui… Quel Padova che segna l’inizio della tua carriera da allenatore, senza allusioni di carattere temporale (sorridiamo)… “A 36 anni subentrare in Serie B forse è stato troppo precoce. Io allenavo la Primavera, dalla mattina alla sera mi trovai dall’allenare i ragazzini nei campetti del padovano alla prima squadra che poi perse gli spareggi per la Serie A. Questo ‘picco’ della mia carriera poi l’ho pagato, perché quando ti trovi ad andar troppo in alto, stai sicuro che in futuro sei costretto a scendere e questo passaggio non è né facile né bello…”. C’è tanta serena consapevolezza nelle parole di Dal Canto. Una lucidissima analisi pratica della vita quotidiana. Oltre le apparenze, oltre gli inutili retaggi sociali che, troppo spesso, ci impongono di dire ciò che (non) pensiamo. In queste quattro righe, tra l’implicito e l’esplicito, c’è tantissimo.
Torniamo a sorridere, però, sennò ‘ci prende male’. Ma quest’estate, quando vi siete incontrati di nuovo con Cutolo, diec….”Alt!”… cosa vi siete detti? “Io che lui non centra niente con la Serie C… meglio per me che ce l’ho e me lo tengo strettissimo Nello!”. Da Padova ad Arezzo, una simbiosi del destino che, spesso, vede e provvede. Perché non sempre tutto finisce quando ci si dice ‘addio’. Come quel gol di Cutolo al Bentegodi con tanto di esultanza mani alle orecchie, a distanza di anni (ovviamente non diciamo quanti) ancora se ne parla… “Mah, ti dico che per me è stato fatto tanto, fin troppo casino. Episodi come quello succedono in tutti gli stadi ogni domenica. Nello a Verona aveva subito feroci critiche e così si è sfogato… Il calcio è fatto di emozioni, ogni tanto è bello uscir dagli schemi, no? Ma poi lui ha esultato con le mani alle orecchie, mica ha ammazzato nessuno! La verità è che oggi si perde troppo tempo a parlar di cose che non centrano niente con il calcio quale sport… Io non capirò mai cosa c’è di figo, tanto per farti un esempio, nel vedere le immagini dei calciatori che si cambiano nel pre-partita… Purtroppo viviamo di gossip più che di sport…”.
Una persona davvero piacevole Alessandro Dal Canto. Finemente intelligente, affabile, senza filtri. Una di quelle con le quali davvero ci puoi parlar di tutto. Perché la vera virtù è nel saper ascoltare, nel ribattere senza interrompere. Virtù che in questo contesto trovano piena esplicazione… “Ma ormai i tempi son cambiati, dalle regole di educazione a quelle del calcio… Ai nostri giovani servirebbe qualche sana avventura all’estero…”. Riferimento tutt’altro che casuale poiché Dal Canto è stato il primo italiano ad andare a giocare in Russia… “Lascio da parte l’aspetto calcistico, alla fine è durata relativamente poco. Voglio sottolineare che è stata un’esperienza di vita forte. Il primo giorno che arrivai ad Elista, nella Calmucchia, pieno deserto stepposo, ebbi davanti a me uno scenario da film horror. Era metà marzo, la neve si stava sciogliendo e si mescolava con il fango, creando un impatto visivo davvero pesante. Il primo giorno ammetto di esser stato almeno quattro ore a ripeter tra me e me ‘chi te lo ha fatto fare’, ‘chi te lo ha fatto fare’, ma poi – come spesso succede – verso la fine capisci che sono esperienze che servono. Serve uscire dall’uscio di casa, serve uscire dalle comodità, serve rimetter in gioco le nostre certezze, serve sporcarsi la faccia e lì di fango davvero non mancava. L’Uralan, così si chiama la squadra dove ho giocato, è stata una palestra di comportamenti essenziale nella mia vita. In un mondo, e lo dico da padre in primis, dove siamo abituati a risolver tutti i problemi ai nostri giovani, a tenerli in casa per paura che si ammalino o si sbuccino il ginocchio. Ma così facendo abbiamo creato delle conseguenze terribili, se non glielo spieghi ti chiedono anche quante volte al giorno devono andare al bagno a fare la pipì…”.
Mentre proseguiamo la nostra chiacchierata, spesso, il telefono di Alessandro promana cinguettii di notifiche differenti e, un po’ (anzi molto invadentemente) faccio il curioso… Già trattative di mercato? Dal Canto scoppia a ridere… “Sì, il mercato delle trote che abbiam pescato stamani… Sono i miei due gruppi WhatsApp, uno della caccia e l’altro della pesca, con i quali ci scambiamo le ‘dritte’ sui luoghi. Dove vado meglio? Mah, cinquanta e cinquanta faccio il diplomatico, anche se il mio cavallo di battaglia è la pesca della trota… Se non avessi fatto l’allenatore mi sarei dedicato a caccia e pesca h24, stile protagonista di Into The Wild…”.
Una grande ars ironica, tranquillo, solare (schivo solo in apparenza), cortese. Prendiamo un romanzo, L’insostenibile leggerezza dell’essere…Alessandro Dal Canto… come lo vedi? “Beh, ci devo ancora lavorare molto… Però sicuramente, sotto questo punto di vista, il problema al cuore che ho avuto a vent’anni ha aperto in me una nuova ‘linea di pensiero’. Mai prendersi troppo sul serio, bisogna vivere con leggerezza e pensare sempre, quando ci infervoriamo per le bagatelle quotidiane, che nella vita ci possa essere di peggio. A vent’anni due ablazioni ventricolari, è stato un momento duro, terribile, il mondo non ti crolla addosso ma quasi. Menomale che quella Torino, dove mi scoprirono questo problema, mi ha regalato anche grandi soddisfazioni! L’esperienza alla Juventus, prima da calciatore e poi da allenatore della Primavera, è stata incredibile. La Juventus ha un altro passo, in quell’ambiente respiri aria di vittoria in qualunque cosa tu faccia, anche quando pranzi a Vinovo. A parole è una roba che predican tutti, a fatti sono gli unici che ti trasmettono una cosa del genere. Ricercano la perfezione (e ci vanno molto vicini, ammesso che non esista…), ognuno è sempre al posto suo, ognuno sa quello che deve fare. Il primo giorno che varchi quel cancello scatta, dentro di te, in automatico come una molla… ‘Da questo momento devo diventare più bravo degli altri’. Io ho fatto una fatica bestia a lasciar la Juventus la scorsa estate…”.
L’Arezzo – Con tanto di citazione ad honorem anche per il direttore sportivo Testini ed il direttore generale Ermanno Pieroni che in estate, da zero, hanno costituito un vero e proprio capolavoro. Come un Monet dal valore elevatissimo, partendo dal vuoto su tela. Giovani forti, promettenti, veraci, già in orbita Serie A. Poi c’è la ‘famosa’ mano dell’allenatore (non quella di Adam Smith). Questa è ben più tangibile: palla a terra, possesso, verticalizzazioni e velocità. Che musica…l’Arezzo! Una libidine veder giocar questi ‘ragazzini terribili’. Tutto in velocità, tutto nello stretto, con il fantasista (indovinate un po’…Nello Cutolo…) come si faceva una volta… “Quello che mi ha più stupito di questi ragazzi è l’applicazione tecnica, oltre ogni più rosea aspettativa. Poi per il resto, che dire, sono un gruppo fantastico, tutti bravi ragazzi, a volte forse pure troppo (ride). Giochiamo con leggerezza, ci divertiamo, io la chiamo ‘responsabilità piacevole’. Mi piace questa ricerca del possesso palla, ma io non sono uno di quelli che ha moduli prestampati, di quelli che ‘o si fa come dico io o niente’, se ho la possibilità di approntare una certa filosofia di gioco è solo grazie alle abilità dei ragazzi, altrimenti sarei uno stupido. Non mi piace il calcio meccanico, amo il gioco logico, intelligente e ragionato. Con leggerezza e senza mai prendersi troppo sul serio, d’altronde, qui ad Arezzo ho trovato la mia seconda giovinezza…”.
In conclusione – Salutiamo Alessandro Dal Canto con un calorosissimo abbraccio. Persona vera, genuina, sorridente. Ma non il solito, classico sorriso di circostanza, di quelli che il contesto sociale ti impone quando vai a prendere un caffè con una persona che non conosci ma con la quale per mera contingenza devi starci lì. Un sorriso vero…un sorriso felicemente bohemien. Come il suo Arezzo, tutto verticalizzazioni e lampi di qualità. Oltre il Velo delle, spesso vacue, inutili apparenze…
Foto Cirinei – Arezzo Calcio