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Da capitano della Juventus Primavera alla Samb: il ‘bambino’ Bove vuole diventare grande

Nasci a Torino nel 1998. Cresci nella Juventus, che ti prende nel 2008 e ti fa diventare il capitano della Primavera. E t’innamori perdutamente dei bianconeri, perché, tra l’altro, è anche la squadra per cui fai il tifo tutte le domeniche. “Sono nato Juventino, col tempo lo sono diventato ancor di più” ammette Gabriele Bove. In campo, uno alla Pjanic. “E’ sicuramente un modello di gioco, come Modric. Io vedo, imparo e provo a emulare”. Ma nonostante la giovanissima età – 19 anni – Gabriele ha avuto il coraggio e la lucidità di scegliere la strada giusta per diventare grande: Sambenedettese, Serie C. Calcio vero. “E’ cambiato tutto, soprattutto i ritmi”. Il cordone ombelicale con la Juventus si è spezzato ma il ‘bambino’ – soprannome con cui lo chiamano a San Benedetto – sta dimostrando a tutti di poter fare la differenza anche tra i grandi: 16 partite stagionali, 2 gol e 1 assist. Una calcolatrice, lì, in mezzo al campo, mix di tecnica e personalità. Il suo attuale allenatore, Eziolino Capuano, non ne può fare a meno e lo schiererebbe titolare anche con una gamba sola; gli occhi della Serie A – Atalanta su tutte – sono già belli che vigili e attenti, soprattutto in vista di giugno. E chissà che la Juventus non possa rimpiangere, un giorno, di esserselo fatto scappare, a titolo definitivo.

La caratteristica che più colpisce di Gabriele Bove è la mentalità: seria e vincente. Da Juventus. “Ti entra dentro, non la dimentichi. Esempio? L’approccio agli allenamenti, alle partite… ho avuto la fortuna di capire cosa significhi, apprendere come si fa e mi sento un privilegiato”. Il tono, deciso, non si alza mai. Idee chiare. “Chi non fa una vita sana, da calciatore, poi alla lunga lo paga”. Agli allievi della Juve indossava la 10 ‘che fascino!’, in Primavera è stato allenato da Fabio Grosso: “Mi sono trovato benissimo con lui, è un grande uomo e un grande allenatore che guarda soprattutto al collettivo. E’ molto bravo a tenere compatto il gruppo, farti sentire importante”. Gabriele ha sempre risposto presente, anche in Youth League quando il livello si alzava eccome, guadagnandosi assaggi di Prima squadra. “Ricordo una rifinitura di Champions in cui ero tra Morata e Cuadrado… che emozioni! Chi sembrava potesse sempre fare la giocata vincente erano Dybala e Pjanic. Higuain o Morata? Mi sono allenato con entrambi ma non saprei chi scegliere. Fanno impressione tutti e due”. Come Pogba, che Gabriele ha ‘sfidato’ a Villar Perosa. “La partita che ho giocato l’anno dopo ero marcato da Khedira, quella era la prima di Dybala in bianconero”.

Diciannove anni e pochi post su Instagram. “Metto foto solo quando l’occasione è importante”. Sicuramente più post-it a scuola. “Ho frequentato il Liceo scientifico della Juventus, per lo meno eravamo tutelati dal punto di vista degli orari. Mi sono diplomato il giorno prima di iniziare il ritiro con la Samb, non ho fatto vacanze quest’estate”. Gabriele è un ragazzo posato e piuttosto timido. Decisamente timido. Alla domanda “hai mai chiesto la maglia a Pjanic? Ce l’avevi lì…” lui risponde sincero “Ma no, no, no. Non sapevo se avrebbe potuto darmela… meglio non rischiare!”. Da piccolo faceva l’attaccante, ma se non ci fosse stato il calcio “avrei studiato per diventare preparatore atletico”. Sente ancora gli amici di sempre, quelli con cui è cresciuto a Settimo e non ci pensa nemmeno a farsi un tatuaggio, che, tra l’altro, sarebbe il primo. In testa c’ha ben altro. “Devo migliorare con il mancino”. E fare bene, benissimo, con la Sambenedettese, la strada giusta per diventare grande.