Cuore Pinna, il preparatore dei portieri torna tra i pali della Torres: “Mi veniva da piangere”
Guantoni appesi al chiodo ormai da qualche stagione, ma quando ha chiamato “l’amore della sua vita” Salvatore Pinna quasi sveniva. “Tore” ha giocato tante stagioni a livello professionistico, ha vissuto il brivido della promozione in stadi da 40 mila spettatori, ha sfiorato la A, ha pure segnato in carriera, con un lungo rinvio, ma non aveva mai pianto. Lo ha fatto ieri il portiere di Sorso, durante Latte Dolce- Sef Torres, derby di serie D: e lo ha fatto nel suo teatro preferito, il Vanni Sanna di Sassari. Perché? Lo spiega “Tore” stesso ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com.
Allora Salvatore, come è nata l’idea? “Semplice. A luglio ho firmato un contratto per fare il preparatore dei portieri, ma l’accordo prevedeva anche che mi sarei dovuto allenare perché in caso di necessità avrei dovuto dare una mano e così è stato: ne ho messe a disposizione due (ride). La partita mi ha emozionato, c’era tanta gente e si affrontavano due squadre di Sassari: non potevo chiedere di più. Il rammarico è aver giocato questo derby con l’assenza di 10 giocatori importanti, in particolare Roberto Merino, il peruviano ex Salernitana. In campo nella Torres c’erano tanti ragazzi provenienti dal settore giovanile, esordienti nel campionato dei grandi. Ma pazienza, per me rimarrà un momento indimenticabile lo stesso. Tornare a giocare dopo tanti anni davanti ai miei tifosi mi ha regalato emozioni uniche, mi è venuto da piangere: erano troppi i ricordi che mi attraversavano la mente. Sassari e la Torres sono tutto per me, sono la mia vita”.
Facciamo qualche passo indietro. Come è nata questa grande passione? “Io sono tifosissimo fin da bambino e non si può certo dire che non mi sia guadagnato la mia opportunità nel calcio. A 15 anni già giocavo in Prima Categoria, a sedici in Promozione, a diciassette in serie D. Rimasi in interregionale per quattro campionati, con il Castelsardo, ma nonostante diverse richieste di squadre professionistiche, per un motivo o per l’altro non riuscii a salire di categoria. Nel frattempo, per continuare a sognare, dovevo anche portare i soldi a casa e quindi decisi di lavorare per il Consorzio Agrario. Dalla mattina prestissimo scaricavamo sacchi da 50 chili, 2.500 circa al giorno. Poi arriva il premio, andavo ad allenarmi e a giocare. Il sogno non l’ho coltivato da solo, con me c’è sempre stato Antonio Langella: siamo cresciuti assieme”.
Tra le stagioni più esaltanti c’è il biennio a Salerno, giusto? “L’Arechi è indimenticabile per me e con la Salernitana mi sono sentito veramente un giocatore di serie A. Poche stagioni prima il club era stato in massima serie, dopo tanti anni in B. Quando arrivai lì ammetto che ci fu un pochino di paura da parte mia, pensavo di non essere all’altezza della situazione. Invece per fortuna sono riuscito ad impormi e, soprattutto, a farmi volere bene: il pubblico salernitano mi ricorda tutt’ora con affetto e io li porto ancora nel cuore. Ricordo benissimo il 2008, la finale Salernitana-Pescara, quella per salire in B, quando parai un rigore a Sansovini. Scese giù l’Arechi, quarantamila persone in festa, mi vengono ancora i brividi se ci penso. Il momento più esaltante della mia carriera (sotto il link con il video)”.
A Pescara le emozioni non furono meno: “Altro capitolo felice della mia storia e, non vorrei essere ripetitivo, ma anche lì sono stato amato e avrei voluto chiudere la mia carriera, perché a Pescara mi sono trovato veramente da dio. Purtroppo, nonostante risultai per due anni il miglior giocatore dei biancoazzurri, davanti a gente come Marco Verratti, non arrivò la conferma. Ci rimasi malissimo, ma questo non cancella le emozioni. Ricordo ancora i trentamila del Bentegodi l’anno precedente, durante la finale Hellas Verona-Pescara, per salire in B. Quelle partite valgono la serie A, ti regalano sensazioni uniche”. A proposito di Verratti, come era all’epoca il fuoriclasse del centrocampo azzurro? “Numeri e qualità si vedevano da subito, era già un piccolo fenomeno: si capiva che avrebbe fatto una grande carriera. Ma io ho ottimi ricordi anche del presidente Sebastiani, dell’allenatore Eusebio Di Francesco e di Fabrizio Lucchesi“.
Il rammarico è doppio, perché l’anno dopo sarebbe arrivato in panchina un certo Zdenek Zeman e, di conseguenza, per Salvatore sarebbe arrivata anche la serie A: “Quello di portiere è un ruolo fondamentale nel gioco del boemo e io avevo già capito come interpretarlo con un altro grande maestro come Eusebio Di Francesco, che si ispira dichiaratamente a Zeman. Al boemo piacciono i portieri che sanno giocare la palla e diciamo che sarei partito molto avvantaggiato. Peccato, sono comunque felice della mia carriera, anche perché se vogliamo dirla tutta l’opportunità di giocare la A l’avevo già avuta…”. Silenzio. Naturale chiedere “con chi?”: “Con il Cagliari, era il 2006 e il contratto era già pronto. Ma non me la sono sentita. Credo ancora in certi valori, alla maglia e ciò che rappresenta. Vista la rivalità che c’è tra Cagliari e Torres, dopo otto stagioni, di cui le ultime da capitano, non me la sono sentita e ho preferii andare a Taranto“. Chapeau.
Già, la Torres, l’amore di una vita: “Dopo otto stagioni, proprio nel 2006 ci giocammo la grande opportunità, quella che Sassari aspettava da 103 anni, la promozione in serie B. Il sogno si concluse in semifinale, passò il Grosseto di Massimiliano Allegri. La stagione 2005-2006, nonostante ciò, è rimasta indimenticabile per tutti. C’erano sempre 13-14 mila persone allo stadio, ma ce ne sarebbero voluti due di Vanni Sanna per accogliere tutti. Le persone arrivavano alle 11 del mattino e si portavano il pranzo da casa pur di non perdersi le partite. Per me la Torres è tutto e, tornando al match di ieri, per me è come averlo giocato con una squadra di serie A: io incarno alla perfezione il ruolo del giocatore-tifoso. Da piccolo dicevo sempre ai miei compagni che un giorno avrei difeso i pali dei rossoblù e così e stato. Ieri ho avuto un’altra opportunità e sono tornato bambino: sognavo ad occhi aperti. Che domanda mi avevi fatto all’inizio? Che emozioni ho provato? Ecco, adesso non serve altra risposta: è un amore viscerale”.
Futuro? “Da qualche anno ho una scuola di portieri e la dirigo insieme a Sergio Pinna, che giocò nella Torres di Gianfranco Zola. L’Accademia sta avendo ottimi risultati e sono sicuro che presto vedrete qualche ragazzo in società professionistiche. Nomi? Pittalis, portierino classe 2000 e Segantini, classe 1999. Entrambi hanno una struttura fisica importante e grandi qualità: segnateli e poi ne riparleremo”. Non ci sono dubbi, con un “maestro” come Salvatore anche loro avranno un futuro assicurato.
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