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“Cresciuto con il mito di Paul Ince. Avversario più forte? Gerrard”. Dalla A a Manfredonia, Pazienza si racconta

Una vita in serie A, 11 anni ininterrotti (dal 2003 al 2014) per Michele Pazienza che pur essendo un centrocampista nel “paradiso” dei campionati italiani ha segnato pure una doppietta. Talento precocissimo quello di Michele, esploso nella sua Foggia e consacrato con le maglie di Udinese, Fiorentina e Napoli. Più di venti le presenze nelle coppe europee. La domanda è sempre la stessa: come fare a trovare gli stimoli giusti in serie D? Umiltà e amore per il calcio le risposte. Pazienza ha scelto il Manfredonia per una questione di cuore.

“Sì, ma in realtà tanti elementi hanno inciso” – racconta Michele ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – “Avevo ancora voglia di giocare, ma allo stesso tempo ho in mente di fare l’allenatore. Questa estate ho preso il patentino Uefa B e contemporaneamente sono arrivate diverse offerte dalla Lega Pro, ma erano lontane da casa. Erano piazze non in grado di regalarmi gli stimoli che cercavo. Ho iniziato ad allenarmi con il Manfredonia, dove come direttore sportivo c’è il mio ex compagno di squadra al Foggia, Elio Di Toro. In squadra c’è anche Antonio La Porta, anche lui conosciuto nel periodo foggiano. Dopo un mese di allenamenti con loro, dato che c’è un legame forte, ho deciso di continuare qui“.

Cambia la categoria, ma non la voglia di lottare per un obiettivo: “Inizialmente era migliorare il risultato dello scorso campionato, dove il Manfredonia ha ottenuto una salvezza tranquilla. Quest’anno prima di tutto dobbiamo confermare la categoria e la speranza di inizio stagione era vedere se poi ci sarebbero stati i margini per puntare a qualcosa di più ambizioso”. Passione per il calcio? Una questione di famglia: “Sì perché avevo uno zio che giocava nel Mola, in Interregionale, che ai tempi valeva una Lega Pro, non la serie D di adesso! Mio zio e mio padre avevano una scuola calcio e una struttura con dei campi. La passione è stata quasi una conseguenza. Ho iniziato con loro e poi a 12 anni mi sono trasferito a Foggia: così è partitala mia carriera”.

Idolo? Un grande degli anni ’90: “Essendo tutta la famiglia interista anche io ho iniziato ad appassionarmi all’Inter. All’epoca c’era un grandissimo interprete del ruolo, Paul Ince: ve lo ricordate? Un mostro. Divenne subito il mio idolo, me ne innamorai calcisticamente”. E Foggia? “Piazza meravigliosa, ma difficile: qui si vive di calcio. Fatte le dovute proporzioni paragonerei la passione di Foggia a quella di Napoli”. Dopo Foggia l’Udinese, nel 2003 triplo salto di categoria: “E’ cambiato tutto dal punto di vista professionale perché è stato un bel salto. Ma dal punto di vista dell’agonismo e dell’atmosfera non ho risentito tantissimo perché Foggia, come ti dicevo prima, è una piazza caldissima. Venivo da un’avventura di tre anni importante: salvezza, play-off e vittoria del campionato. Un periodo che mi ha fatto crescere in fretta e questo mi ha aiutato tantissimo nel triplo salto di categoria e non mi ha fatto sentire tutta questa differenza”.

Nella tua carriera ci sono stati almeno quattro allenatori importanti, chi ti ha dato di più? “Quello al quale sono più grato e dal quale ho ricevuto di più è stato senza dubbio Mazzarri. Ma non dimentico neanche Spalletti, che mi ha svezzato in A, e Conte che mi ha voluto nella Juventus. Con loro però ho lavorato per meno tempo”. Compagno più forte? “Tanti, però se devo fare due nomi dico Pirlo e Hamsik. Anzitutto perché sono due centrocampisti come me, difendiamo la categoria (ride). Poi perché mi hanno sorpreso per la facilità che hanno nelle giocate: qualità superiore, c’è poco da fare. L’avversario che mi ha impressionato di più? Sicuramente Steven Gerrard“.

Hai avuto la fortuna di giocare in tre team di livello assoluto: Udinese 2004-2005, Fiorentina 2007-2008, Napoli 2010-2011. Erano forse le squadre che in quei campionati hanno giocato il miglior calcio: in quale delle tre ti ha dato più felicità giocare? “Il Napoli perché è la squadra in cui mi sono sentito più importante e protagonista. Non che nelle altre non lo fossi, ma il ruolo che ho avuto a Napoli, le responsabilità che mi hanno dato, sono qualcosa di speciale. La partita indimenticabile? Un 3 a 0 alla Juventus con tripletta di Cavani e anche un’altra di coppa con il Liverpool, dove vincevamo per uno a zero fino all’ingresso di Gerrard. Poi dopo l’ingresso di Steven è finita male, 3 a 1…”.

Sei un tipo scaramantico? “No, ma sono un abitudinario e quindi faccio sempre le stesse cose. Dallo scendere dall’albergo a una determinata ora, all’ascoltare un certo tipo di musica e rimanere in silenzio per tutto il tragitto nel pullman, fino al prepartita. Faccio degli esercizi di riscaldamento personalizzati“. E fuori dal campo come ti descriveresti? “Sono una persona piuttosto semplice, amo molto passare le giornate con la mia famiglia e i miei amici. Poi durante l’inverno vado in letargo (ride di nuovo). Mi chiudo in casa perché odio il freddo e faccio una scorpacciata di film. Piatti? Per gestire al meglio l’alimentazione mangio spesso in bianco. Però quando c’è la possibilità mangio una pasta fatta in casa, spaghetti alla chitarra con salsiccia e vino bianco: difficile resistere“.

Futuro? Appendi le scarpette al chiodo o continui la vita da mediano? “Spero anzitutto di chiudere al meglio il campionato con il Manfredonia. Poi, come ti ho detto, in futuro mi piacerebbe allenare. A giugno andrò a frequentare il corso per ottenere il patentino Uefa A e poi vedremo cosa sentirò di fare a maggio, quali saranno le sensazioni. Sono valutazioni che farò in questi due o tre mesi”.