Cosa è successo al Barcellona? Le chiavi della decadenza blaugrana
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Ha detto tutto Ronald Koeman: l’1-4 con il Paris Saint-Germain è stato “un bagno di realtà”. E lo è stato un po’ per tutti: per il pubblico internazionale che al Barcellona associa ancora il mito e i successi del tiqui taka; per Messi, che ha visto le nuove generazioni sfrecciargli davanti; per lo stesso Barça, che affrontava questa partita nel miglior momento della stagione, suo ma anche dello stesso Messi, e si è visto ugualmente surclassato da una squadra semplicemente molto più forte.
Spesso gli eventi storici si apprezzano meglio quando ci siamo allontanati da loro e, dopo questi ottavi di andata, diventa evidente che l’8-2 con il Bayern non fosse un’abbaglio o il momento in cui si tocca il fondo per risalire, ma un maestoso monumento alla decadenza. La decadenza di un club che, a febbraio della stagione successiva, sembra aver già perso le speranze di vincere un trofeo. Ma cos’è successo perché il Barça arrivasse a vivere in questo limbo di insoddisfazione?
Il caos tecnico
Che il Barcellona sia ormai poco competitivo con l’élite europea l’hanno detto in tanti con la casacca blaugrana, primo fra tutti Messi. Dietro non può che esserci innanzitutto una ragione tecnica, e il cambiamento dello stile di gestione del club salta particolarmente all’occhio. Dal 2003 al 2013 il Barça ha alzato 20 titoli, fra cui 3 Champions, e ha plasmato un mito attorno al suo modello di gioco. In quei 10 anni, a capo dell’area tecnica ci furono solo Txiki Begiristain (per sette anni) e Andoni Zubizarreta (tre).
Da quando Bartomeu prese le redini del club nel 2014, il modello è cambiato completamente. In sei anni ci sono stati nove direttori sportivi, combinati insieme in sei formazioni diverse. Praticamente, ogni anno l’area sportiva è stata presa in mano da una squadra dirigenziale diversa. Ogni anno, vale a dire, il Barcellona ha messo in dubbio il proprio progetto tecnico. Il caos.
Da qui i tanti e cari acquisti che hanno reso poco in questi anni, un po’ perché non del tutto adatti, un po’ perché la confusione spesso si propaga dagli uffici al campo. E sul campo, è chiaro a tutti, il Barcellona oggi è una caricatura di sé stesso. Una squadra che gioca a fare un gol in più degli altri con le medio-piccole, ma indifesa e vulnerabile contro chi attacca o difende meglio di lei, anche nel suo miglior momento di forma. È successo col PSG, ma anche nella semifinale di andata di Copa del Rey, in cui il solido Siviglia ha complicato parecchio il percorso culé verso il trofeo.
Acquisti oggi, debiti domani
Mentre il Barcellona vinceva la sua ultima Champions nel 2016, negli uffici del club il presidente Bartomeu iniziava a compiere il gesto — anche simbolico della caduta dei fasti del passato — di calciare lontano i debiti, rimandandone il loro pagamento al futuro. Un problema in meno oggi, una sciagura per chi ci sarà domani. Domani però è già oggi e il Barcellona supera il miliardo di debiti, con un centinaio di milioni ancora da pagare proprio per giocatori cari ma inadatti, alcuni dei quali non si trovano nemmeno più in squadra. Come Malcom, che non c’è più da 18 mesi ma per cui i culé devono ancora 20 milioni al Bordeaux.
E se da acquisti sbagliati ne derivano insuccessi e debiti, da questi si finisce a non aver più margine economico per completare la rosa. Koeman se n’è lamentato spesso in conferenza stampa della necessità di fare mercato per rendere la squadra competitiva — “ma la situazione è quella che è” aggiungeva sempre.
Intanto, l’altra preoccupazione dei tifosi è che la società, per far fronte ai problemi economici, perda lo status di associazione senza fini di lucro — che è ciò che permette che il club sia posseduto dai suoi soci — e venga acquisita da un grande investitore. Uno smacco non da poco per chi si considera “més que un club”.
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La stagione è già finita?
Il progetto, dunque, non porta attualmente da nessuna parte e sembra che il Barcellona abbia bisogno di una lenta e profonda ristrutturazione, in tutte le aree del club, per tornare a competere da Barcellona. Per ora, tutto è rimandato all’elezione del prossimo presidente — il prossimo 7 marzo, a meno di ulteriori rinvii.
Tuttavia, dice il saggio, finché c’è vita c’è speranza e i catalani non si possono ancora dare per morti. In fin dei conti, la squadra viene da sette vittorie di fila in Liga e l’inarrivabile Atlético è comunque a otto punti. La Copa è compromessa, ma un 2-0 col Siviglia non è irrecuperabile. E, insomma, in Champions sembra impossibile, ma La Remontada del 2017 ci ha insegnato a non abusare di quella parola. Anche se quello era un altro PSG e, soprattutto, era un altro Barça. Anzi, quello era ancora il Barça. Questo, piuttosto, è un maestoso monumento alla decadenza.
Di Antonio Cefalù