“Cinque operazioni al ginocchio: ho smesso a 29 anni”. Pro Patria, Javorcic si racconta
“Dopo cinque operazioni al ginocchio ho detto basta: nonostante avessi 29 anni è stata una liberazione“. Talento e sfortuna, la storia di Ivan Javorcic è fatta di più tappe. Attualmente l’ex centrocampista del Brescia allena la Pro Patria, storico club lombardo ,che con Jovorcic vuole rinascere. Primo posto nel girone B della serie D, l’obiettivo per un club che vanta 12 campionati di serie A e 19 di serie B non può che essere il ritorno nel professionismo. “Ho deciso di scendere dopo aver conosciuto che tipo di persone lavorano qui” – racconta l’ex allenatore di Brescia e Mantova ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – “Il presidente è molto passionale e legato alla città e il direttore sportivo Turotti è molto competente, un uomo di calcio: sono persone molto leali. Poi la storia della società, la passione della piazza, tutto quello che ruota intorno al club. Queste sono le tre componenti principali. Inoltre va aggiunta la qualità dei giocatori: tutto ciò mi ha fatto propendere per il sì“.
Quel simbolo un po’ impolverato, con la scritta “Aurora Pro Patria 1919”, è presente ovunque nello storico stadio Carlo Speroni: è il momento giusto per riportare il club nel calcio che conta? “L’obiettivo è fare il meglio possibile, ci sono tutti i presupposti per lottare fino alla fine. Però in serie D c’è una sola promozione diretta per girone, non sarà certo facile perché ci sono tante squadre attrezzate che hanno dichiarato lo stesso obiettivo“. Ma voi potete contare sul super fuoriclasse Mario Santana… “Fenomeno! Ha una grande storia alle sue spalle ma questo non l’ha minimamente condizionato nel rendimento. Passione, professionalità, dedizione al lavoro: è impressionante. Cura tantissimo i dettagli, l’alimentazione, ha tanta pazienza con i giovani: Mario è l’esempio da seguire“.
Qual è la filosofia di gioco di Javorcic? “Non ho dei moduli preferiti, anche se in passato ho lavorato tanto con la difesa a 4 e il rombo a centrocampo. Le situazioni mi portano ad adattarmi e così c’è stato spazio anche per il 4-4-2 classico, con centrocampo in linea e, adesso, per la difesa a 3. La Pro Patria era abituata a giocare così e allora ho aggiunto i miei concetti a questo modulo: diciamo che adesso dietro giochiamo con un 3 e mezzo”. Prendiamo in prestito una Delorean e torniamo indietro al 1996…”Basta che poi mi riporti a casa! (ride) Fui portato in Italia da Edy Reja, all’epoca allenatore del Brescia, che mi vide giocare nell’Under 18 della Croazia. Ero il capitano e diciamo che me la cavavo… Al Brescia devo tutto, ho vissuto la serie A nel suo periodo di massimo splendore, quando era il campionato top a livello mondiale: esordio a 18 anni. Metà della mia vita calcistica l’ho passata lì, prima da giocatore e poi da allenatore. Ho fatto tutta la trafila delle giovanili fino alla prima squadra. Nel 2015 abbiamo fatto qualcosa d’importante, che ha permesso al club di salvarsi e di essere affidato ad altre persone. Poi hanno fatto scelte diverse. Ho accettato, fa parte del calcio”.
Nel 1996 in squadra c’era già un altro diciottenne, dalla folta chioma e con un talento smisurato…”Eh già, uno qualunque! (ride di nuovo). Si chiamava Andrea Pirlo… Siamo entrambi dei classe ’79. Quando arrivai non lo conoscevo e mi bastò qualche allenamento per capire di che livello era. Mi dissi ‘se in serie B ci sono giocatori così in serie A come sono? Meglio se me ne torno a casa…’. Un ragazzo di una classe e di una finezza di pensiero uniche. Andrea ha anche avuto la fortuna di incrociare le persone giuste nel suo percorso. Quella trasformazione da trequartista a regista ha regalato al mondo un poeta del pallone, uno dei migliori interpreti del ruolo della storia del calcio”. In panchina c’era un altro fuoriclasse: quanto ha imparato Javorcic da Carlo Mazzone? “Beh, che dire, uno dei maestri di questo gioco: mi ha insegnato tantissimo. Non solo schemi, ma anche e soprattutto la sua grande capacità di gestire gli uomini. Sensibilità e umanità che difficilmente si possono riscontrare in altri allenatori”.
E di Baggio che ci racconti? Lungo sospiro, i ricordi fanno sorridere nuovamente Javorcic: “Giocatore sublime. Quando mi sono ritrovato Roberto nello spogliatoio non riuscivo a crederci, ero paralizzato. In Croazia avevo il suo poster in camera, il mio idolo era diventato il mio compagno di squadra. Con noi era una persona d’oro, ci dava consigli, faceva battute: esperienza unica da un punto di vista professionale e umano. Come Pirlo anche Baggio è entrato nella storia del calcio mondiale e i riconoscimenti e l’affetto che tuttora gli riserva la gente penso che siano la migliore testimonianza. E anche io posso raccontare con orgoglio di aver giocato con Roberto Baggio”. Croato, centrocampista di qualità, classe ’79: per idolo e squadra del cuore ho già un sospetto… “Sì, ci hai preso! Era l’epoca del Milan, simpatizzavo per loro, era la massima espressione del gioco del calcio. Da croato il mio punto di riferimento era Zvonimir Boban, che giocava anche nel mio ruolo. Era il giocatore al quale mi ispiravo di più”.
Il 23 maggio 2004 il giorno più triste per Javorcic. Durante Rimini-Arezzo un grave infortunio al ginocchio segna la fine della sua carriera. Nulla ha potuto il trapianto di menisco esterno: è il primo calciatore professionista che si è sottoposto a questo intervento. Il ritorno in campo dopo 29 mesi di stop, con il Pizzighettone, ma a seguito di cinque operazioni, l’ultima nell’aprile 2009, arriva anche l’addio al calcio giocato: “Purtroppo i problemi hanno impedito l’evoluzione che ci si aspettava da me: quando decisi di smettere fu paradossalmente un sollievo perché non ce la facevo più. La decisione è stata molto sofferta, però, se di fortuna vogliamo parlare, è capitato tutto molto gradualmente. Erano diverse stagioni che ero tormentato dal ginocchio. Se uno che ama il calcio come me decide di smettere a 29 anni significa che proprio non si poteva più. Era tanta la sofferenza che l’ho vissuta come una liberazione. Mettiamola così, era un segno del destino, perché poi ho intrapreso un’altra strada, quella della panchina, ruolo che sento più mio. Una evoluzione, un Javorcic 2.0”.
In serie A ci sono tanti croati, qual è il più forte? “Ivan Perisic, completo e devastante. E’ la massima espressione del calcio moderno, il giocatore che abbina qualità tecniche a una incredibile forza fisica e atletica. Con Luka Modric è il giocatore più completo della Croazia. Poi ci sono giovani interessanti come Marko Rog e Marko Pjaca, che giocando in Italia non possono che crescere: la serie A ha sempre fatto bene ai giocatori croati, è una grande palestra. Cultura sportiva, conoscenze tattiche e professionalità: guarda il percorso di Mateo Kovacic“. Obiettivo di Javorcic? “Crescere, imparare, conoscere cose nuove: tutti mi possono insegnare qualcosa per migliorare. Il sogno è creare una squadra mia, che sviluppi le mie idee e i mie concetti di calcio, lasciare un’impronta in questo mondo. Sono ambizioso, ovviamente mi piacerebbe allenare in serie A, ma in questo momento non conta. Voglio crescere e migliorarmi”. E con lui l’Aurora Pro Patria, premesse di un lungo e felice matrimonio.