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“Andrà tutto bene”. Ciccio Caputo, il ragazzo abituato a crederci

“Mister ma secondo lei Ciccio può diventare un calciatore?”, Dipende solo da lui Filomena”. Quel botta e risposta Onofrio Colasuonno se lo ricorda ancora bene. “Ero andato ad Altamura a casa dei Caputo per cercare di convincere Ciccio a continuare a giocare a calcio. Parlai con sua mamma. Il ragazzo non voleva più saperne e da qualche settimana non si presentava più agli allenamenti. Andava a lavorare con il padre muratore”. Ma perché Ciccio aveva smesso di giocare? Di mezzo c’era stata una cocente delusione: “Quell’estate aveva fatto il provino con il Grosseto. Lo volevano prendere, ma io mi opposi perché obbligavano i genitori a pagare 800 euro al mese per il convitto. Stoppai tutto”. E l’allora sedicenne Ciccio la prese molto male. “Dovrai continuare a giocare con il Toritto”, si sentì dire. 


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Andrà tutto bene

Dopo quel dialogo con mamma Filomena, Onofrio entrò in camera di Ciccio, che era ancora deluso per come erano andate le cose. “Se mi vuoi bene fai un altro anno al Toritto, avrai altre occasioni. Andrà tutto bene, te lo prometto”. Una carezza sul volto, un abbraccio. Dopo qualche titubanza Ciccio si convinse a riprendere. Quell’anno fece 12 gol e trascinò la squadra alla promozione. “È come un figlio per me. Mi legai a lui quando Don Pierino Dattoli mi chiamò per allenare nella parrocchia di San Nicola. Era un ragazzo tranquillo e sulle sue. Prendeva l’autobus per venirsi ad allenare a Toritto e poi la sera per tornare ad Altamura. Spesso lo accompagnavo io in macchina”. Nelle parole di Onofrio si nasconde neanche tanto bene il grande affetto per il suo ragazzo, che, l’anno dopo, venne chiamato dall’Altamura in Eccellenza. La carezza di Onofrio diede il via alla sua ascesa.


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Il salto di qualità

Ciccio comincia a farsi notare per i campi pugliesi. Anche se non sembra avere grandi doti tecniche, è un attaccante che la mette sempre dentro. Il Melfi lo vuole prendere. Ma Ciccio non firma il contratto perché durante il ritiro gli fanno fare il terzino. Il vero salto di qualità arriva grazie alla coppia Terracenere-Giusto. Il primo è l’allenatore dell’Altamura, il secondo del Noicattaro, squadra di C2: “Angelo (Terracenere) mi chiamò e mi consigliò questo Caputo come quarto attaccante da integrare nella mia rosa” – racconta Pino Giusto – “Io chiamai il nostro DS Daniele Faggiano che acconsentì a fargli fare un provino con noi. Dopo 4 allenamenti gli facemmo il contratto di corsa. Non aveva certo le qualità di Cassano, che da bambino in Puglia già faceva magie, ma si impegnava costantemente e mi poteva tornare utile”.


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Con il silenzio e il lavoro Ciccio si conquista una maglia da titolare anche in C2: “Nella mia idea di undici titolare dovevo giocare con la coppia Suarez-Moscelli – continua Giusto – ma dopo qualche partita non potevo più levare Ciccio. Segnava e lavorava per la squadra”. La coppia fissa di quel Noicattaro diventa Caputo-Moscelli. Ed è proprio il compagno di reparto a ricordare quell’anno insieme. Ogni giorno si è conquistato un pezzo di fiducia e di campo. Attaccava benissimo la profondità. Era bravo senza palla, ma faceva fatica a saltare l’uomo. Abbiamo fatto undici gol a testa e ottenuto la salvezza”


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La consacrazione

A giugno del 2009 il suo telefono squilla e la consacrazione è completa. Lo aspetta il Bari di Antonio Conte in Serie B. All’esordio con la maglia del cuore non fa bene, di più. Vittoria 3-1 e tripletta al… Grosseto. Ironia del destino. Da qui inizia il viaggio di Caputo che tutti conosciamo: Bari, Salernitana, Siena, Entella. E una valanga di gol. Poi la Serie A con l’Empoli e il passaggio al Sassuolo, fino alla doppietta dell’ultima partita di Serie A prima della serrata a causa dell’emergenza coronavirus. Fino a quel cartello mostrato al mondo dopo il primo gol contro il Brescia: “Andrà tutto bene”. Come gli aveva promesso Onofrio molti anni prima, nella sua cameretta di Altamura, abbracciandolo. Lui ci ha creduto, ora dobbiamo farlo noi.


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