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L’inventore della mascotte di Italia 90: “Quel Ciao nato a un semaforo”

Si chiama Lucio Boscardin e oggi ha ottant’anni. “Dovetti stare zitto per cinque mesi. E la prima volta che lo vidi al Quirinale non mi piacque”.

Le notti magiche del 1990, i pomeriggi da incubo del 2020. “Eh, guardi… mi chiami tra un paio d’ore perché adesso mi si è allagato il box”. Piove forte a Camparada, pochi passi da Arcore, Brianza. Diluvio futurista, domenica da ridisegnare. “Arrivederci” telefonico a Lucio Boscardin, l’artista che ha inventato Ciao, la mascotte di Italia 90. Due ore passano in fretta, quasi come 34 anni. Sì, 34, perché anche l’icona di quel mondiale nacque sotto la pioggia. A un semaforo di corso Buenos Aires a Milano: “Mi ero appena iscritto al concorso per creativi lanciato dal comitato organizzativo. Stavo andando in ufficio. Ero in macchina e c’era la coda. Guardavo l’orologio e quelle luci: giallo, verde, rosso. Pensai alla bandiera. La scritta Italia, da ritagliare. Arrivai nello studio, presi dei pezzetti di carta colorata”. Poi li lasciò andare. “E uscì un atleta: qui la gamba, lì il braccio. Al posto della testa misi il pallone. Mandai tutto a Roma. Qualche mese dopo si presentarono due signori. Mi fecero fare delle prove per accertarsi dell’autenticità della mia idea. Dopo qualche minuto se ne convinsero. Tirarono fuori una lettera: avevo vinto”.


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UN SILENZIO DA RISPETTARE E UN NOME DA DARE

Era il 13 maggio dell’86. Per 5 mesi esatti, fino alla presentazione al Quirinale fatta il 13 ottobre non poté dire neanche una parola: ”Lo sapeva solo mia moglie. Neanche mia figlia Annalisa. Una sofferenza”. Come la prima volta che lo vide, nel giorno della presentazione. “Non mi piaceva: un gigante di 3 metri, proiettato alla parete e illuminato in modo strano. Non ne percepivo la tridimensionalità. Anche Gigi Riva mi disse che non gli era piaciuto. Ero d’accordo con lui, ma gli dissi di aspettare e di dare tempo al tempo”. Aveva ragione Lucio: quello strano simbolo divenne l’amico di un sogno percorso insieme. Fu chiamato Ciao solo nel marzo 1989, grazie a un concorso lanciato insieme al Totocalcio. “Gli altri nomi erano Amico, Beniamino, Bimbo e Dribbly. Anch’io per un mese andai sempre a giocare la schedina, marcando il nome Ciao”. Poche settimane per votare e una vittoria schiacciante. Quello spigoloso burattino avrebbe accompagnato le nostre notti magiche.


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TRENT’ANNI DAL MONDIALE. DA SAN SIRO A CAMPARADA

Lucio Boscardin aveva cinquant’anni l’8 giugno del 1990. A San Siro iniziava il nostro mondiale. E anche quello di suo “figlio”. “Io peraltro non andai neanche a una partita. Qui a Camparada ho la casa piena di riproduzioni: in legno, in vetro, in pelouche. Quest’anno ho fatto una cartolina per celebrarlo. Ne ho stampate 499 copie. Ne vuoi una?”. Un onore ricevere una di quelle 499. Rigorosamente in numero dispari, come avviene sempre per le stampe d’artista. Quel Ciao lo fa ancora commuovere, soprattutto quando ricorda le parole di Sergio Pininfarina, uno dei 5 giurati che – insieme a Zanuso, Franco Carraro, Testa e Zeri – scelse il suo bozzetto. “Disse che in quella parola Italia c’era tutta la fantasia e la creatività di noi italiani. E che era proprio lì, dentro la parola Italia”.


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IL VALORE ECONOMICO E I RIMPIANTI

Emozioni che non hanno tempo né prezzo. Meglio pensarla così, perché da quel bozzetto del 1986, Lucio non ha tratto profitti miliardari. “Circa 60 milioni di lire, ma con le tasse furono poco più di 40. Il vero peccato fu non aver vinto quel mondiale. Ciao sarebbe diventato un progetto più ampio. Avevo già pronti tutti i bozzetti: sarebbe diventato un saltatore con l’asta, poi un canottiere, avrebbe superato tutti gli ostacoli”. Purtroppo quell’Italia fu fermata a Napoli da un colpo di testa di Caniggia e dalle parate su rigore di Goycoechea. Sogno infranto contro l’Argentina e addio, altro che Ciao. Ma il mio rimpianto maggiore risale alla metà degli anni 90, alcuni anni dopo. “Con la federazione e i presidenti di serie A e B avevamo lanciato un piano di commercializzazione del brand per tutte le squadre. Un progetto da vendere all’estero, sotto il marchio unico “IFL”, ossia Italian Football League. Era tutto pronto: il logo era un bambino che giocava. Stilizzato, ricordava un po’ il Ciao. Avrebbe portato ricavi per tutti i club. Il Milan però all’epoca vinceva in tutto il mondo e si slegò dal progetto, dicendo di voler possedere i diritti del proprio marchio. Poi si sfilarono anche Juve e Inter. Peccato, avrebbe portato bei soldini per tutti, soprattutto per i club più piccoli”.

 


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BOSCARDIN OGGI, TRA RICORDI E PINOCCHIO

La mente di un creativo però non si arresta mai. E la sua mano oggi continua a disegnare. “Mi occupo di Pinocchio e del suo rinnovamento d’immagine. Stiamo rifacendo una linea, inserendo la sua figura con le città o altri simboli inseriti nel disegno”. Lucio è partito da lontanissimo. In gioventù faceva l’edicolante a Enego, sull’altopiano di Asiago.Dicevano che assomigliavo a Nordhal, ma non seguivo molto: io sono stato sempre tifoso solo della nazionale. Ho lavorato tanto, quello sì. Mi sono fatto da solo, partendo da un diploma di terza commerciale. Ho dato l’esame da privatista, senza frequentare”. Il mondo della pubblicità lo ha fatto diventare grande. In pochi anni è passato dal packaging del cornetto Algida a un pupazzetto famoso in tutto il mondo. “È arrivata la pizza, ti devo salutare”. Con un Ciao, trent’anni dopo.