Sulle orme del ‘más grande’: “El Trinche, il calcio e la sua gente”
Scegliere di non diventare il numero uno? Basta innamorarsi della città giusta: storia di un fuoriclasse sfuggente, nelle parole di chi l’ha vissuto
Il finale è assurdo. Ma la storia non è incompiuta. Quella dell’uomo, per lo meno. Perché Tomás Felipe Carlovich – con l’accento sulla i, mi raccomando, ci dicono da Rosario – “Ha fatto tutto quello che ha voluto fare nella vita”. Gli amici, la famiglia “e quel capriccio fatale della bicicletta”. Oltre al fútbol, naturalmente: “Per le strade e i campi della sua città, per la sua gente. Per divertirsi e basta. Anche se una notte ridicolizzò la Selección”.
Del Trinche si sa tutto e niente. Maradona l’ha definito il più grande di sempre. Non ha giocato più di una manciata di partite in Primera Division. Eppure, a Rosario ha assolutamente senso così. Oggi lui non c’è più, chiediamo a chi lo conosceva: “Da una vita. Non mi ricordo quando l’ho incontrato la prima volta né l’ultima che l’ho visto”.
Mario Killer ha 68 anni, giocava con Carlovich durante la fugace esperienza del fantasista al Rosario Central “ma soprattutto prima di diventare professionisti, nei vari tornei che facevamo con la squadra del nostro barrio”, l’ex difensore racconta in esclusiva per GianlucaDiMarzio.com. “In partita era la carta più forte che si potesse avere. Faceva il regista di centrocampo, ma risolveva tutto. Ed era meraviglioso vederlo giocare”.
Per quei pochi fortunati: filmati e fotografie di repertorio quasi non esistono. Alimentando il mito. “Per tutti è sempre stato El Trinche, ma in campo lo chiamavamo anche El Mago. Inevitabile, dopo quel match”.
‘Esta noche juega El Trinche’, senza ambizioni
L’ultima amichevole dell’Argentina prima del Mondiale del ’74 fu contro una selezione di giocatori rosarini. 5 del Newell’s e 5 del Rosario Central, tra cui Kempes e Killer. Più un ospite d’onore: “El Trinche Carlovich, che giocava al Central Cordoba. Tutti erano curiosi di capire perché ci fosse tra noi un ragazzo di Segunda Division”. Presto detto, città batte stato 3-1. “Fu la sua consacrazione: muoveva il pallone come un giocoliere, imprendibile per chiunque”.
Rimase l’incanto di una notte. “Chiedetelo a Menotti e Bilardo”, i due ct che hanno portato l’Argentina sul tetto del mondo. “Lui avrebbe potuto fare tutto, giocare ovunque. E ve lo dico io, che ho visto anche Pelè e Cruijff. Eccellenti. Ma niente a che vedere con Carlovich. Tecnicamente era un superdotato, nato per il fútbol”. Perché allora non divenne un campione? “Da calciatori tutti abbiamo una certa ambizione”, spiega Mario: anche lui e suo fratello Daniel entrarono nel giro dell'Albiceleste. El Trinche no.
“Lui era diverso. Si accontentava ed era felice di ciò che aveva, dell’allegria che portava alle persone attorno a lui”. Senza rimpianti. “Era molto bohémien: avrebbe rifatto ogni scelta del suo percorso. Poi che cosa l’abbia spinto a innamorarsi di una squadra di Segunda, questo è un segreto che si porterà nella tomba. Ma non voleva andare via dalla sua Rosario. E infatti oggi tutta la città lo piange, non solo il Central Cordoba”.
Nonostante le restrizioni da coronavirus, domenica il piccolo stadio Gabino Sosa traboccava per l’ultimo saluto al Trinche. “Io non ho potuto esserci, ma in questi ultimi giorni sono andato più volte dove viveva lui: eravamo amici, vicini di casa e abbiamo condiviso insieme tanti momenti anche fuori dal calcio”.
Nel suo barrio
Rosario è la realtà di Messi, Bielsa e Di Maria, ma anche di Che Guevara e Lucio Fontana: intrisa di fútbol e grandi sognatori, Carlovich ne ha colto l’essenza. “Ha messo d’accordo anche Central e Newell’s”, sorride Mario. “Tutti noi diciamo che questa è la città del Trinche! Una persona davvero buona e umile, eterno ragazzo di casa. Questo era il suo habitat. E aveva la possibilità di andare in auto, ma non ne voleva sapere”. A modo suo, fino all’ultimo. “Lo si vedeva spesso su quella bici: era contento, perché tutti lo conoscevano e lo salutavano. Ora tutto è finito per colpa di un criminale”.
El Trinche vive, a partire dai suoi luoghi. “Lo stadio del Central Cordoba ha un grande mural dedicato a Carlovich, ma il presidente del club ha già annunciato che gli faranno un omaggio ufficiale. Potrebbero intitolargli una tribuna”. E poi nella memoria: “Ormai quasi nessuno l’ha mai visto giocare”, sospira Killer. “E molti bambini oggi non sanno: vedono Messi e Ronaldo, è difficile far capire loro di che giocatore stiamo parlando. Io l’ho conosciuto, lo racconto, ma spesso le persone non mi credono”.
Il fascino amaro della tradizione orale. “Per gli altri ora inizia la leggenda. Ma per noi è finita una persona amica e amica della vita, che ricorderemo sempre per quello che era”. Un pallone per giocare, lasciando il talento alla sua Rosario. Que más?