“Sono andato alle Maldive. A parare”. Boerchio, portiere globetrotter
Un viaggio lungo dieci anni da una parte all’altra della Terra, tra culture diverse, clima estremo e cibo “strano”. La storia di Mauro Boerchio, spalle alla porta, guanti alle mani e stomaco di ferro.
Il giro del mondo in 7300 giorni. Ci ha messo un po’ di più del protagonista del romanzo di Jules Verne, ma Mauro Boerchio di viaggi ne ha fatti parecchi. Una valigia sempre pronta e la voglia di custodire quei pali, perché se è vero che un portiere non deve mai allontanarsi dalla sua porta, non è detto che non possa farlo anche da casa. “Partire è sempre stato il mio sogno".
All'altro capo della Terra
“Non ci andare, fino laggiù è una pazzia”, gli dissero i genitori quando nel 2015 arrivò una chiamata da lontano, troppo lontano dalla loro Pavia. Il numero sullo schermo del telefono segnava il prefisso +678, quello delle Isole Vanuatu, arcipelago immerso nel Pacifico meridionale. Dall’altra parte della cornetta però la voce parlava italiano. L’allenatore dell’Amicale Football Club ci mise poco a convincerlo, anche se all’inizio il timore di lasciare l’Italia superava la voglia di partire. “Ero titubante perché sarei andato in un posto sconosciuto e dall’altra parte del mondo. Poi ci ho pensato e ho capito che partire era la cosa giusta. Ad oggi è stata la scelta migliore della mia vita”.
Difficili adattamenti
Forse mamma e papà avevano ragione. Non tanto per i 16 mila kilometri di distanza o le 30 ore di volo necessarie per raggiungere quell’angolo di mondo, quanto per il fuso orario, la lingua e un clima difficile da sopportare. “Lì l’umidità è elevatissima. Anche col gruppo inizialmente avevo difficoltà perché non capivo cosa mi dicevano, ma ho trovato persone che mi hanno aiutato ad inserirmi e a sentirmi a mio agio”. Il tempo di rifare i bagagli e poi ripartire, perché dalla stagione 2016 per Mauro gli aerei su cui salire saranno tanti. Ancora un assaggio d’Europa, a Malta, con la maglia dello Gzira United, poi un nuovo volo, stavolta diretto in Asia.
Aiuto dall'alto
“In Mongolia ho mangiato una marmotta bollita”, ci ha detto ridendo ricordandone il sapore strano. È andato subito lì il pensiero, al cibo, l’incubo peggiore di ogni italiano all’estero. “Comunque ho sempre preferito quello indiano che ho potuto assaggiare l'anno dopo". Neanche il tempo di gustarsi qualche insetto tipico che ecco un nuovo biglietto aereo, direzione Maldive, non per godersi una vacanza sia chiaro, ma per continuare il suo sogno, sempre coi guanti alla mano e una porta da difendere. “Alle Maldive prima di ogni partita i calciatori pregano. Sono musulmani, chiedono ad Allah una buona riuscita della partita. Ma le preghiere pre match sono un qualcosa che ho ritrovato anche alle Vanuatu. Io stavo lì a guardarli non essendo della loro religione, ma è stato bizzarro”.
L'Inter, Conte e il futuro
“Il posto che ho preferito è stata l’India, il problema è che non riuscivo tanto a guardare la Serie A perché trasmettevano pochissime partite”. Gli è mancato anche quello, il nostro calcio guardato la domenica sul divano, col cibo cucinato da mamma. Una carriera iniziata nella Nocerina e proseguita tra Lega Pro e Serie B, con le maglie di Renate, Lecco e Savona, prima di iniziare il suo viaggio intorno al mondo. Gli è mancato l'Inter su cui, anche da lontano, non ha smesso di fare pronostici: “L’avevo detto ai miei amici ad inizio campionato che Conte avrebbe fatto bene. Vince perché è determinato. Lo ricordo quando mi allenava al Bari nel 2008 e abbiamo conquistato la Serie A. È un grande allenatore, così come Ventura, che ho ritrovato sempre al Bari un anno dopo. Mi dispiace per come sia finita la sua esperienza con la Nazionale". Oggi ha smesso di girare il mondo e di stare tra i pali. “Ma allenerò i portieri. Ho già il patentino”. A Broni o in un’isola del Pacifico, chi può dirlo.
A cura di Lavinia Saccardo