Perseguitato, torturato, rifugiato, carcerato: chi è Hakeem Al-Araibi
La fuga dall’oppressione, una condizione che si ripete. E a cui non si sfugge nemmeno se si è un calciatore. È la storia di Hakeem Al-Araibi, difensore del Bahrein, in carcere da oltre un mese in Thailandia dopo essere stato perseguitato e torturato dal governo del proprio paese. Le due nazioni, peraltro, si sfidano oggi nella Coppa d’Asia in quella che può essere a tutti gli effetti definita come la partita di Hakeem che invece non la potrà giocare.
L’odissea per il giocatore comincia nel 2012, quando a novembre viene arrestato e rinchiuso in carcere per tre mesi, dove viene anche torturato. Forti percosse alle gambe e la minaccia di distruggergli la carriera. L’accusa è quella di aver partecipato ad alcune sommosse nell’anno precedente, in cui era vivo il fenomeno della primavera araba. Nel Bahrein la protesta è messa in atto dalla parte sciita della popolazione contro la famiglia sunnita che governa la nazione. Nel 2014 arriva la sentenza: il difensore viene ritenuto colpevole di aver incendiato una stazione di polizia di Manama, la capitale, e viene condannato a 10 anni di reclusione. Inutili le prove addotte da Al-Araibi, che aveva dimostrato di essere quel giorno in Qatar per giocare una partita. A questo punto, scatta il mandato d’arresto per lui e di alternative ne sono rimaste poche. Così Hakeem decide di scappare in Australia, dove l’anno scorso gli è stato riconosciuto il diritto di asilo. Ricomincia la sua carriera, con il Pascoe Vale FC della seconda divisione australiana, e sentendosi più protetto non nasconde tutto l’astio nei confronti della famiglia reale del Bahrein. I suoi attacchi sono rivolti in particolare a Salman bin Ibrahim Al Khalifa, che è il presidente della confederazione calcistica asiatica nonché il vicepresidente della FIFA: Al-Araibi gli contesta la mancanza di sostegno agli atleti sciiti che avevano partecipato alle proteste. Intanto, lo scorso novembre, Hakeem decide di trascorrere in Thailandia qualche giorno con la moglie come viaggio di nozze ma all’aeroporto di Bangkok viene arrestato dall’Interpol su richiesta del Bahrein. L’ennesimo scandalo è tutto qui: l’Interpol, secondo il proprio regolamento, non può eseguire mandati di arresto nei confronti di cittadini a cui è stato riconosciuto lo status di rifugiati. La situazione attuale vede Al-Araibi rinchiuso in un penitenziario di Bangkok, in attesa che il tribunale della città si pronunci sulla richiesta di estradizione avanzata per lui dal Bahrein.
Gli appelli della comunità internazionale di quel periodo non avevano sortito particolari effetti, ma la Coppa d’Asia ha contribuito a ridare risalto mediatico alla vicenda. La FIFA ha diramato un comunicato in cui chiede il rilascio di Al-Araibi e che torni in Australia per proseguire la sua carriera di calciatore: l’appello è rivolto alle autorità bahreinite, australiane e thailandesi, dal momento che “la validità delle accuse sono fortemente contestate dal giocatore”. I vertici federali australiani hanno incontrato Al Khalifa dopo che intanto Al-Araibi ha già trascorso 40 giorni in carcere. Il presidente della FFA Chris Nikou ha espresso chiaramente la richiesta di riportare il giocatore in Australia. Qualcosa pare si stia muovendo anche dal punto di vista istituzionale: il ministro degli esteri Marise Payne che presto sarà in Thailandia ha annunciato che discuterà del caso Al-Araibi, facendo valere il suo status di rifugiato. Fino a questo momento, gli sforzi del governo australiano si erano ridotti ad una richiesta di rilascio immediata risalente al 9 dicembre, a cui ha fatto eco l’appello dell’ONU del 15. Le critiche però sono piovute da ogni parte del mondo, riassunte in una sola domanda: perché ci si muove con decisione soltanto adesso? Il GIDHR (Istituto del Golfo per la Democrazia e i Diritti Umani, ndr) porta avanti questa battaglia fin dal primo giorno, accusando la FIFA e la confederazione asiatica di non difendere il giocatore per le relazioni nascenti con alcuni stati di quell’area geografica e i conseguenti equilibri economici e politici da tutelare. Ma intanto c’è un calciatore che sta trascorrendo la propria vita in carcere, ingiustamente, giorno dopo giorno.