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Fantasia, coraggio e sincerità: il Cesena negli occhi di Antonucci

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Mirko Antonucci, Cesena (Imago)

Il fantasista 29enne dei romagnoli ha ritrovato il gol dopo un anno contro la Sampdoria

Non lasciano spazio a equivoci. Gli occhi descrivono emozioni. Sensazioni e sentimenti si palesano limpidi e genuini. Custodi di storie, vicende ed esperienze. Capita a Mirko Antonucci, fantasista del Cesena al suo primo gol con la maglia bianconera nel match vittorioso del Ferraris contro la Sampdoria. Dopo un anno dall’ultima volta. In quel di Marassi dove i sogni prendono forma da lontano. Su quel campo dove ricordi di bambini si intrecciano.

Lì, dove chi sa aspettarlo e stimolarlo per restituirgli la fiducia di cui ha bisogno ha lasciato il cuore. Ci torneremo. Il Cesena vince 1-2 contro i blucerchiati: gli occhi di Mirko tornano a brillare. Una corsa forsennata verso la panchina, un abbraccio spontaneo e la consapevolezza di potersi riprendere il suo sogno.

Una concezione quella dello sguardo come rappresentazione della volontà umana ritrovabile dalla filosofia alla religione, passando per la psicologia e l’arte figurativa. Classe 1995, Mirko Antonucci, come tanti ragazzi della sua generazione si appassiona ai fumetti giapponesi: i Manga. Per il calciatore dei romagnoli scegliere tra Dragon Ball e Naruto non è semplice, ma i dettagli fanno la differenza. Come Naruto, Mirko sente di avere un talento da coltivare e sprigionare per per inseguire un sogno.

Come ogni protagonista dei Manga anche lui trova giovanissimo il suo mentore. Nasce a Roma, cresce tifando la Roma e si innamora del pallone nel segno della tradizione. Prima affissa su una parete della sua cameretta dove il capitano Francesco Totti sorveglia e custodisce le su fantasie, poi all’ombra dello storico stadio Flaminio. Quello dell’Atletico Roma, terza squadra della città, dove Antonucci gioca a calcio per il puro piacere che gli trasmette. Tanto da declinare le prime avances di Roma e Lazio.

Genova e il Ferraris: era giusto così

Roma è culla della storia. E Bruno Conti non può che ergersi a baluardo di un’era calcistica all’ombra del Colosseo. Talent scout ineccepibile, è lui a convincere mamma Lucia e Mirko a scegliere Trigoria. Dieci anni in giallorosso. Dal poster alla vita reale si ritrova al fianco di Totti durante i molti allenamenti in prima squadra. Poi l’esordio deciso da Di Francesco in Serie A nel 2018 in un Sampdoria-Roma; in pieno recupero con i giallorossi sotto 1-0. Pochi secondi e quel ragazzo gracilino fornisce un assist preciso e decisivo per Edin Dzeko. 1-1 a Marassi.

Gli occhi del ragazzo si divincolano tra la ricerca sugli spalti della madre e un vortice di istantanee emozionanti. C’è poi il destino a vederci sempre fin troppo bene. Non l’Olimpico, bensì il Luigi Ferraris di Genova. Lo stadio dove, come confessato in gran segreto alla mamma Mirko sogna fin da bambino di giocare. Perché non tutto deve avere una spiegazione. Ed è lì che oggi ritrova la gioia più bella: quella del gol.

Affrontare sè stessi

Mirko lascia la sua città. Un’esperienza poco fortunata in Serie B a Pescara; stessa sorte al rientro a Trigoria. Fonseca, all’epoca allenatore dei giallorossi, gli consiglia di accettare l’offerta del Vitória Setúbal in Portogallo. Lo scoppio della pandemia di Covid-19, il calcio e il mondo che si fermano. Gli stimoli calano. Solo 6 partite per lui e un epilogo, ancora oggi, “incomprensibile”- dichiarerà. Per colpa dei social: i nuovi occhi della società. Nessuna spiegazione, rapporti interrotti con la società. Cerca di ripartire tornando in Italia. Delusione e smarrimento hanno il sopravvento.

L’esperienza alla Salernitana il punto più basso. Mirko minaccia di smettere. Si convince di non aver più nulla da dare al pallone. Finché, come Goku, trova il suo Re Kaioh. È Sandro Carpani, un mental coach col quale inizia un percorso per ricostruire autostima e fiducia. Al resto pensano mamma Lucia, la compagna e Cittadella. Il suo Sheringan – l’occhio rosso rappresentante le abilità innate di Naruto – suscitato dallo stress emotivo negativo che gli permette di riconquistare forza ed entusiasmo. Risultato: 14 gol e una serenità ritrovata in granata. Un insegnamento così intenso lo Sheringan da tatuarlo sulla pelle accompagnato da un nome: Lucia. Un bacio sincero e spontaneo ad ogni gol a celebrarne il legame.

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Michele Mignani, allenatore Cesena (Imago)

Migani e Antonucci, questione di intrecci

Poi il passaggio allo Spezia che rimarrà nella storia del club ligure come l’acquisto più costoso di sempre. Cosenza e la prima rete col Cesena sotto lo sguardo di quel Michele Mignani che a Genova, sui seggiolini del Ferraris, a Marassi ha prima disegnato con l’immaginazione e poi costruito una vita e in seguito una carriera. “Questo stadio per me vale mille ricordi da bambino e da calciatore, ma oggi siamo grandi e abbiamo i capelli bianchi” – racconta l’allenatore dei bianconeri nel prepartita.

Lui, l’allenatore del Cesena che non perde occasione per sottolineare la sua ammirazione per il fantasista romano. Stimoli, parole, occasioni: così Mignani aspetta Antonucci. E con un gol elegante il giocatore risponde. Un abbraccio stretto, spontaneo e doveroso in panchina e le lacrime più dolci che scendono da quegli occhi che, oggi, tanto raccontano.