La panchina non è umiliazione, ma un’occasione per crescere
Il caso Hamraoui mi ha fatto pensare: cosa si è disposti per essere titolari?
Partiamo da un titolo: “Calciatrice arrestata per aver fatto picchiare la sua compagnia di squadra”. Shock. La calciatrice del PSG femminile, Kheira Hamraoui, sulla strada del ritorno verso casa dopo una cena di squadra è stata aggredita da due uomini con il passamontagna che con una spranga l’hanno colpita ripetutamente sugli arti inferiori. Sotto accusa la compagna di squadra Aminata Diallo, che secondo alcune supposizioni potrebbe essere la mandante di questa aggressione per una rivalità calcistica. Quest’ultima avrebbe infatti giocato da titolare poi nella partita di Champions contro il Real Madrid al posto della malcapitata ricoverata invece in ospedale.
Cosa sareste disposti a fare per il vostro posto?
Non voglio entrare nel merito, visto che Diallo è stata rilasciata per insufficienza di prove, ma quanto è accaduto mi ha portato a pensare a una riflessione molto cruda: cosa sareste disposti a fare per il vostro posto? Lo sport, oltre a fornirci una serie di valori positivi e educativi, ci chiede anche di essere molto competitivi. La competizione è la condizione indispensabile per il successo degli sportivi. E il significato intrinseco della parola definisce una tensione che abbiamo nel raggiungere un obbiettivo a discapito di altri individui.
Ci troviamo a vivere in un mondo in cui essere bravi non basta: bisogna essere i migliori. Ci alleniamo costantemente per arrivare a dare il massimo. Cosa si prova poi quando qualcuno arriva prima di noi? Quando qualcuno viene scelto al posto nostro? Siamo preparati a questo? Nel cercare di rispondere a questa domanda, ho iniziato a ricordarmi tutte quelle emozioni che ho provato nel corso della mia carriera, quando sono stata lasciata in panchina. A tutti gli sportivi sarà successo prima o dopo di esser stato lasciato fuori, di non essere stato apprezzato come si sarebbe pensato di meritare. Anche al di fuori dello sport. A livello lavorativo, o perché no? Anche nelle relazioni sentimentali.
Si può essere amici tra giocatrici con lo stesso ruolo?
Quando qualcuno viene preferito a voi, ve lo ricordate cosa si prova? Rabbia, frustrazione, delusione. Queste emozioni secondo me sono tutte molto naturali e sono positive se gestite nella maniera giusta: sono quelle che ci spingono a dare sempre di più. Saranno trasformate in voglia di riscatto, rivincita. Si può essere amici tra giocatrici con lo stesso ruolo? Ho provato a porre questa domanda a diversi amici che fanno sport per professione e la maggior parte dice che in fondo non è possibile, che rimangono sempre delle tensioni e delle rivalità che non possono combaciare con l’amicizia.
Nella mia squadra posso assicurare che la risposta è “sì”: gli interessi personali vengono sempre messi in secondo piano. Ho visto calciatrici allenarsi sodo e poi dover guardare giocare una compagna che quella settimana non si era neppure allenata. Ho visto gioire sinceramente quella calciatrice se la collega faceva bene. Penso che nella nostra realtà ovviamente tutto questo sia più semplice perché siamo svincolate da interessi economici. Questo non vuol dire che comunque non si provi dispiacere e non si stia male.
Parlo di me: ho avuto un allenatore che non mi vedeva. Potevo dare il massimo in allenamento, potevo sentirmi anche particolarmente in forma ma non mi prendeva neppure in considerazione. Ho provato tutte le varie sfumature di quelle che si possono definire sentimenti negativi. L’avrò pure probabilmente odiato. Poi ho capito che la chiave in quelle situazioni sta solo nella sicurezza in se stessi. Bisogna essere consapevoli di cosa si ha da offrire, del proprio valore. Il fatto di non venir scelti non lo sminuisce. Ho apprezzato molto la frase di una mia compagna che al tempo, vedendomi frustrata, mi aveva detto che non avrei dovuto dimostrare niente a nessuno.
Cambiare prospettiva
Sembreranno parole banali ma mi hanno cambiato la prospettiva. Aver fiducia e stima in ciò che che si offre e metterlo a disposizione: penso questo ci evolva da dilettanti a professionisti. La panchina non è umiliazione, ma un’occasione per crescere ed è un’opportunità per qualcun altro.
Questo è quello che ci rende campioni. E non è già questa una vittoria? Ancora oggi io e la mia compagna di squadra, quella con il mio stesso ruolo, ci teniamo per mano quando l’allenatore ci comunica la formazione. Una in campo, una in panchina: è la prima persona che guardo negli occhi, sia che venga scelta io, sia che venga scelta lei. E il suo sguardo è sempre sincero. Vorrei dirle grazie.