Cartoline 2015, ottobre: l’instabile stabilità dell’Inter di Mancini
Atalanta, Carpi, Milan, Chievo, Verona: tre e tre sei e tre nove su su fino a quindici. Di un gol, ma che all’Inter basta sempre. Instabile stabilità, che basta fino a quando arriva la Fiorentina. E son quattro sberle: stabilità instabile? Niet, perchè dopo le vampate settembrine ottobre è il mese delle scosse d’assestamento. A muso duro. Ad opera di un Mancini che il numero dieci ce l’ha dentro, ma ragiona anche su altri numeri. Ad esempio l’undici.
Undici come i gol subiti in diciassette partite: si scrive undici, si legge solidità. Ossia la base. La base di un’Inter che a tratti soffre però non cade. Inciampa però si rialza subito. Un’Inter dura, ruvida, muscolare. Che sa diventare improvvisamente spigolosa e proprio nel momento in cui sembra invece imbarcare acqua. Un’Inter forte della propria solidità ritrovata. Questione di dna.
Burgnich e Facchetti terzini, Bedin e Guarneri in mezzo con Sarti in porta. Oppure Bergomi e Brehme a destra e sinistra, Ferri stopper e Mandorlini libero davanti a Zenga. Oppure ancora Maicon e Zanetti esterni, Lucio e Samuel centrali a proteggere Julio Cesar. Sempre Inter, sempre “provate un po’ a passare”: trittico divensivo di HH memoria, rinforzato dalla strana coppa Trap&Mou. Poco in comune con la difesa, anzi fase difensiva, dell’Inter attuale. Eppur quel qualcosa c’è, seppur sia roba da far sobbalzare i vecchi nostalgici: perchè qui trattasi di nomi intoccabili, non paragonabili nè accostabili. Che spiegano però che quel “iniziamo a non perdere, iniziamo dalla difesa” , variato più nella forma che nella sostanza nel corso degli anni, fa sempre la sua figura. Soprattutto rende. Al di là del gioco (diverso), dei moduli (diversi), delle psicologie panchinare (diverse). Mancini lo sa bene…
Lo sapeva bene già ai tempi della sua prima Inter, quella dei diciotto pareggi. Quella che riportò in alto, dopo Trapattoni e dopo la seguente filastrocca mozzafiato: Orrico, Suarez, Bagnoli, Marini, Bianchi, Hodgson, Castellini, Simoni, Lucescu, Lippi, Tardelli, Cuper, Verdelli, Zaccheroni. La sa più lunga ora: Inghilterra+Turchia=esperienza. Quindi idee chiare, modificabili nel dettaglio e rivedibili nel contorno. Ma chiare: un’instabile stabilità. In difesa si difenda, in mezzo si faccia legna, in avanti si voli. Soprattutto, più che fate i bravi, fate i concreti. Quindi a trovare più spazio, minuti alla mano, sono Handanovic (1621), Murillo (1294), Medel (1292), Miranda (1273).
Tre pareggi di fila con Sampdoria, Juventus e Palermo, due 1-0 con Bologna e Roma. Le coppie di terzini sempre cambiate (da Santon-Jesus a D’Ambrosio-Nagatomo più Telles), a centrocampo ruotano Guarin, Medel, Melo, Brozovic e Kondogbia per tre posti, in avanti si alternano i vari Icardi, Jovetic, Perisic, Lljaic, Palacio, Biabiany. Instabilità stabile, stabile per quei miseri due gol subiti. E difesa soprattutto da quei quattro.
Quell’Handanovic che qualche esperto del ruolo definisce carente tecnicamente. Però para. Quel Murillo arrivato dal Granada come un Carneade e che già nella prima amichevole col Bayern aveva messo lì bella chiara la sua freddezza caliente, miscela di aggressività da martello e affidabilità da viva la praticità. E ancora Medel, niente tacchi, niente ghirigori, niente palloni vellutati? Pura garra, posizione, gamba, duttilità che non ne muta la densa sostanza. E infine Miranda: un alieno nel traffico, raziocinio e pensiero limpido, la guida da cui apprender dai gesti più che dalle parole. Loro quattro i più presenti nel tourbillon di modifiche di forma, non certo di sostanza. Instabile stabilità che ha portato al primato. Instabile o stabile?