Auguri Carlo Mazzone: 80 anni di frasi irripetibili
È il padre fondatore del calcio nostalgico. L’allenatore del popolo. Romano de Roma. Espressione del calcio fisico e difensivo degli anni ’90, ma anche di un calcio folcloristico e poco attento alle parole dette davanti alle telecamere. Carlo Mazzone è riuscito ad entrare nel cuore dei tifosi per il suo essere, non certo per le vittorie sul campo. In bacheca solo una Coppa di Lega Italo-Inglese nel 1975 con la Fiorentina. Poi solo promozioni e salvezze:
“Sono sempre stato un cane sciolto. Avanti tutta, come un navigatore solitario. Mai avuto padrini, né sponsor. Mai fatto parte di lobby di potenti dirigenti, mai goduto del favore di giornalisti condiscendenti o di raccomandazioni. Se ho ottenuto qualcosa lo devo a me stesso, alla mia determinazione e alla passione che ho messo nella mia carriera. E sono orgoglioso di essere un grande professionista, magari non un grande allenatore”.
Polemico, quasi di professione. Poco diplomatico sicuramente. Senza frasi ad effetto. Rimanendo quel giovane ragazzo trasteverino:
“Va bene ragazzi, avemo finito. Mo fate la partita, giocate bene io vi guardo e chi perde domani porta i bignè cò a crema…” Così in uno dei tanti venerdì a Trigoria prima della partita. Diretto, soprattutto con i suoi giocatori. Ne fece le spese Amedeo Carboni:
“Quanti gol hai fatto in serie A?” Al quale il povero terzino rispose: “4, mister”, “Ecco, allora vorrei proprio sapere ‘ndo vai!”
Una tirata di orecchie, unita alla sua solita spontaneità. A Roma però lo ringraziano soprattutto per aver lanciato Francesco Tottti:
“Ciao Francè, fino a sabato stai con noi, ma mi hanno detto che vai in motorino, lascialo sta ‘sto motorino che m’hanno detto che vai in giro coi capelli tutti bagnati e bene che va te piji la bronchite e me saltano i piani…”
Il primo contatto con quel giovane che avrebbe fatto la storia della Roma. Il piano? Quello di far debuttare quel ragazzo di Porta Metronia con la maglia che avrebbe indossato nei successivi 25 anni. Un consiglio non da allenatore, ma come quello che darebbe un padre al proprio figlio. Ovviamente con l’accento romano, che nonostante le esperienze fuori dal Raccordo Anulare non ha mai perso. La sua seconda casa però Ascoli. Prima da giocatore, poi l’esordio in panchina da allenatore.
“Guardi, uno che ha fatto Ascoli-Sambenedettese credo che, sul piano dell’intensità emozionale, abbia provato tutto”
Tutto o quasi perché per un romanista, il derby rimane una partita sempre diversa. E viverla da tifoso e allenatore dei giallorossi lo è ancora di più. Come in quel 3 a 0 del 1994, quando dopo una settimana di elogi ai biancocelesti da parte dei giornali, riuscì a vincere, esplodendo in una corsa infinita verso la Curva Sud. Tifoso giallorosso sì, ma anche professionista. Qualche anno dopo in quel Perugia-Juventus del 2000. La partita più lunga mai giocata. Dopo tre ore, finisce in pareggio sotto il diluvio del Renato Curi:
“Dovevo essere indifferente come una mummia, sia nei sentimenti sia rispetto agli interessi contrapposti di Juventus e Lazio. Una mummia. Devi essere al di sopra di tutto anche stavolta come hai sempre fatto nella tua lunga carriera”
La partita che regalò alla Lazio uno scudetto e qualche critica da parte dei tifosi romanisti. L’anno successivo ancora una corsa. Questa volta verso i tifosi dell’Atalanta, che lo avevano offeso per tutta la partita.
“E mò se famo il 3 a 3 vengo sotto a curva…”
Baggio regala ai mazzoniani i trenta secondi che rimarranno indimenticabili. Una corsa che neanche lo storico vice Menichini e l’addetto stampa Edoardo Piovani, riusciranno a fermare. Una valanga di rabbia, che si fermò solo ai piedi della curva. Forse la corsa che gli chiuse definitivamente le porte della Nazionale, ma che lo consacrò come idolo tra i tifosi nostalgici. Il miglior complimento però arrivò a carriera ormai finita. Era il 2009 e le parole risuonano dalla pancia dell’Olimpico:
“Vorrei fare una dedica per questa vittoria al calcio italiano e al mio maestro Mazzone: sono orgoglioso di averlo avuto come tecnico”
Firmato Pep Guardiola, appena dopo aver sconfitto il Manchester United nella finale di Champions League. Non ringraziò Cruijff e neanche Van Gaal, i maestri del calcio olandese che resero forte il Barcellona. Ma Carlo Mazzone da Roma, un allenatore che non vinse molto, ma che entrò nel cuore dei calciatori per la sua umanità.