Carlo Castellani, bomber dell’Empoli ucciso durante l’olocausto. Il figlio Franco racconta la sua storia
Carlo Castellani ha scritto la storia dell‘Empoli da calciatore, oggi lo stadio azzurro porta il suo nome, fino alla fine del 2011 ha detenuto il record di reti segnate con la maglia dei toscani con 61 gol in 145 presenze, superato poi da Francesco Tavano. Sopratutto, Carlo Castellani, è stato uno dei pochi calciatori professionisti rimasti vittima dell’olocausto. Sono in tanti a ricordare chi fu questo grande giocatore, primo e più grande eroe di sempre dell’Empoli, davanti a tutti uno dei suoi due figli, Franco Castellani. Ci accoglie nella sua casa di Fibbiana, a due passi da Empoli, dove da sempre vive con la sua famiglia e dove ha vissuto anche suo padre: “Beh, non ho tanti ricordi purtroppo, avevo 6 anni quando fu preso dai nazisti, – racconta in esclusiva a gianlucadimarzio.com – ma ricordo bene che mi faceva tirare i primi calci giù nell’orto, voleva insegnarmi a giocare a pallone.” Sono, forse, questi gli unici ricordi belli di quel papà alto, sportivo e vincente perché il resto sono solo incubi.
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A Fibbiana la vita scorreva tranquilla, ma anche qui si discuteva a favore e contro Mussolini. Nella famiglia Castellani l’unico acceso anti-fascista era il nonno David, gli altri, compreso Carlo, non lo erano assolutamente. Così all’alba dell’8 marzo del 1944 le forze dell’ordine bussano alla porta cercando proprio il capofamiglia David, che però era a letto malato: “Quella mattina c’era un po’ di nebbia, mia madre si affacciò alla finestra e vide le guardie. Volevano il nonno ma mio padre disse che era malato e che se c’erano problemi potevano prendere lui, pensando che si trattasse soltanto di dirimere qualche questione in caserma, e così si offrì al suo posto…. Noi pensavamo tornasse la sera a casa.”
Non andò così anche se nessuno voleva crederci: “Mia madre prese la bicicletta e lo andò a cercare. Quando tornò ci raccontò che era stati messo su un pullman per Firenze.” Da lì, viaggiando per tre giorni e tre notti su un treno adibito al trasporto del bestiame, fu mandato in Austria, nel terribile Campo di Concentramento di Mauthausen-Gusen: “Da quel famoso binario a Santa Maria Novella arrivarono a Mauthausen dove mio padre fece la quarantena per poi essere trasferito al campo di lavoro di Gusen dove costruivano pezzi di aereo e mitragliatrici. Le condizioni di vita erano allucinanti, mangiavano solo pane nero e margarina. Morì l’11 Agosto.”
Oggi per Franco Castellani accendere la tv o aprire un giornale può essere sconvolgente. Leggere o ascoltare quello che, troppo spesso, succede negli stadi italiani non lo può lasciare indifferente. Le tristi figurine di Anna Frank, i fischi durante la lettura di un passo del famoso diario, gli inquietanti segnali di intolleranza che continuano a manifestarsi negli stadi. Ogni volta per Franco sono pugni nello stomaco: “Mio babbo non c’entrava niente ed è morto, cosa dovrei dire di quella ragazza. Ho visto 4 volte il film, ha dato l’esempio e c’è chi non ci crede?? Sono morti milioni di persone, lo capite?? Per me Anna Frank è come una di famiglia, si immagini lei cosa posso pensare??”. Avrebbe voglia di trovarseli di fronte queste persone: “Mi arrabbierei perché non lo posso sopportare un discorso del genere. Parlano e agiscono per sentito dire, bisognerebbe metterli in galera e farli smettere”. E su Mihajlovic che dice di non conoscere Anna Frank?: “Non ci credo, ma se la conoscono tutti? Anche in Cina, non ci posso credere. Questa proprio no!”.
Tommaso Mattei – https://twitter.com/TommiMattei