Cagliari, Joao Pedro parla da capitano: “La fascia per me un onore. Lopez? Conosce la piazza meglio di chiunque altro”
Genio e sregolatezza, gare da protagonista e, talvolta, qualche prestazione sottotono. Bianco o nero, insomma: Joao Pedro è fatto così. E dalle parti di Cagliari, ormai, figura come idolo incontrastato del popolo rossoblu: 10 sulla maglia, 5 reti in campionato e la voglia di tornare a segnare e stupire, magari proprio dalla prossima, complicata trasferta di campionato dell’Olimpico contro la Roma. “Un gol là? Speriamo. Ma contro una grande squadra come la Roma non basterà solo segnare perché ci vorrà una ottima prestazione da parte di tutta la squadra – le parole del brasiliano ai microfoni del Corriere dello Sport – Dzeko è un grande attaccante, ma anche Nainggolan, se in giornata, può decidere la partita. Speriamo di riuscire a fermare entrambi. L’ultima volta contro i giallorossi presi tre giornate di squalifica, una punizione troppo pesante ma fa parte del gioco. Sabato starò più attento”. “Ad ora mi darei un 6 pieno – continua – Sono contento per quello che ho fatto: il voto è la media tra alcune gare nelle quali credo di aver fatto la differenza, con altre in cui non ci sono riuscito. Ho lavorato per questo, così come avevo fatto anche l’anno scorso dopo un ritiro molto importante prima che, però, iniziasse a girare male. Quando segni, però, tutto diventa più bello e più facile, ma devo ringraziare la squadra perché senza i compagni non ci sarei riuscito”.
Disponibilità e duttilità, da mezz’ala, trequartista e seconda punta con piena licenza di segnare. E con la fascia da capitano sul braccio…: “Credo sia assolutamente un vantaggio perché il calcio moderno richiede tanta disponibilità. Se sai ricoprire più ruoli e fai quello che ti chiede il tecnico, puoi diventare un giocatore importante. Diciamo che sono felice ma so di poter fare ancora di più. Sabato, per esempio, credo di aver fatto una grande prestazione da mezz’ala pura. Certo, se qualcuno si aspetta che prenda la palla dalla mia metà campo e vada a segnare dopo aver dribblato tutto, allora mi sembra un po’ difficile riuscire a soddisfare tutti quanti. Io sono a disposizione del tecnico e gioco dove serve. Ho fatto più gol di tutti gli altri anni in questo scorcio di stagione e penso che ne avrei potuti fare anche altri. La fascia? Per me è un onore. Fino a quando non la indossi non capisci l’importanza e la responsabilità di averla. Dopo la prima volta che l’ho avuta, è cambiato il mio modo di vedere le cose e forse i compagni mi hanno scelto perché sono riuscito a trascinare la squadra in alcune occasioni”.
Dal momento di Farias all’intesa con Pavoletti, passando ai migliori ricordi: “Farias lavora sempre bene sa come vanno le cose, quindi lo vedo tranquillo. Qualcuno deve stare fuori perché in campo vanno solo in undici ma conosciamo tutti le sue qualità e in questo momento gli è mancato solo il gol. Sa che può dare di più e ora che ha rotto il ghiaccio potrà ritrovare più fiducia. Con Pavoletti giocare è davvero facile perché lui gioca per la squadra, lotta su ogni pallone e in area: non so come riesca, la prende sempre lui. Sappiamo di avere davanti un bel punto di riferimento e lui è un grande attaccante. Il gol più bello quest’anno? Quello di Ferrara perché è stato spettacolare ma la rete realizzata a Bologna è stato quello più difficile perché è tipico da punta che sa leggere l’azione. Forse riesco a vedere bene la porta avversaria. Leggere le situazioni di gioco è stata forse la qualità che mi ha avvantaggiato”.
Chiusura tra futuro e analisi sulla successione Rastelli-Lopez: “Dopo l’infortunio dello scorso anno che mi ha costretto a star fuori tre mesi, ho maturato sempre di più la convinzione che Cagliari è casa mia. E Rastelli e Lopez sono diversi: Massimo ha preso la squadra in un momento difficile ed è riuscito a centrare una promozione meritata e una grande salvezza. Lopez conosce il Cagliari meglio di chiunque altro e ha una carica nel sangue che riesce a trasmetterti. Entrambi hanno fatto ottime cose, ma quando le cose vanno male, non c’è nulla di nuovo nell’assistere ad un cambio in panchina”.