Cagliari, il ritorno di Dario Silva…
Dario Silva torna a Cagliari, vent’anni dopo. Notizia di qualche giorno fa, l’ex centravanti uruguaiano, amatissimo dal pubblico sardo, assisterà a Cagliari-Juventus in programma alla Sardegna Arena sabato 6 gennaio. Oggi la visita ad Asseminello, il centro sportivo che tra il 1995 e il 1998 è stato anche casa sua. Un saluto a Diego Lopez, compagno di Nazionale tra la fine degli anni ’90 e i primi anni 2000, una stretta di mano ai calciatori rossoblù e al resto dello staff e poi una passeggiata tra le strutture. Chissà quanti ricordi saranno passati per la mente di Dario…
E voi lo ricordate tutti? Non c’è bisogno di rispolverare le vecchie VHS, anche se qualche video si può ancora trovare su youtube: si torna negli anni ’90. La storia “italiana” di Silva partì nel 1995: per tutti in Sardegna diventerà bene presto “Sa Pibinca“. Il “rompiscatole” in patria è invece conosciuto come il “Poeta dell’Olivar“, fiume che attraversa Treinta y Tres, dove Dario nacque il 2 novembre del 1972. Le 35 reti in 56 partite con la maglia del Penarol convinsero l’allora presidente del Cagliari, Massimo Cellino, che mise Dario Silva a disposizione di Giovanni Trapattoni: all’uruguaiano l’ingrato compito di sostituire la “pantera” panamense Julio Cesar Dely Valdes. Nonostante i tre titoli di capocannoniere vinti in patria bastarono poche partite per rendersi conto che Silva non era il “goleador” ammirato nel Penarol: 4 gol la prima stagione, appena 3 nel campionato 1996-1997, quello della retrocessione dei sardi. Ma poco importava ai tifosi rossoblù perché Dario in campo era un lottatore: decise di rimanere anche in B, per porre rimedio al danno fatto. Nel campionato 1997-1998, Roberto Muzzi e Dario Silva trascinarono i rossoblù alla promozione a suon di gol, ben 30 in coppia.
“Schizzava da una parte all’altra del campo ed era talmente veloce che non riuscivi a capire cosa avesse in mente” – raccontò Muzzi ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – “Per i difensori era un tormento, perché non solo li disorientava, ma non mollava un centimetro. Pressava tutti, rincorreva ogni palla, si appiccicava agli avversari come una “zecca”: ecco perché era soprannominato “Sa Pibinca”. Tecnicamente non era granché, però ci metteva il cuore e faceva dei gol in acrobazia incredibili: ho visto pochi giocatori così coordinati. Poi di testa era fortissimo, elevazione degna del miglior Lebron James. Sbagliava gol facilissimi e poi ti stupiva con una rovesciata o una sforbiciata sotto l’incrocio: ricordi la girata contro la Roma?”.
Fuori dal campo? Muzzi conferma tutto ciò che di buono si diceva della Pibinca: “Era un compagnone: tra il 1995 e il 1998 ho conosciuto un ragazzo d’oro, simpaticissimo, con una grande voglia di vivere. Sorrideva sempre, faceva scherzi e andava pazzo per la musica sudamericana, la sentiva in continuazione: in macchina, a casa, negli spogliatoi. Una birra con Dario dopo una bella vittoria era un appuntamento fisso. Un carattere solare, unico e, nonostante le critiche, era sempre disponibile con i tifosi: non è da tutti. Quando ebbe quel terribile incidente lo chiamai subito e l’ultima volta che l’ho sentito faceva il procuratore in Spagna. In quei giorni del 2006 rimasi scioccato, fu lui a incoraggiare me: ‘Roby, non ti preoccupare, segno anche con una gamba sola…’. Ora posso dire a tutti di aver conosciuto una persona speciale, un amico vero: ho avuto la fortuna di essere compagno di Dario per tre anni. Provo ancora un grandissimo affetto per lui”.
L’ultimo episodio del duo Muzzi-Silva insieme? Una scommessa… “Eravamo retrocessi e il presidente Cellino, per stimolarci, mise in palio un premio: ‘Chi segna più gol si prende la mia Porsche’. Quell’anno Dario mi diede filo da torcere, mise dentro 13 gol: alla fine la spuntai io con 17 (ride)”. Dopo l’impresa Silva scelse la Liga spagnola. “Vado al Real Madrid”, disse appena un anno prima. La notizia circolò rapidamente, un pesce d’aprile in piena estate, Dario riuscì a prendere in giro tutti gli addetti ai lavori. Alla fine il trasferimento in Spagna ci fu la stagione seguente, nella squadra povera di Barcellona, l’Espanyol: appena 3 gol in 15 partite. A Malaga il riscatto. Quattro gol la prima stagione. Ma l’arrivo dell’altro ex Cagliari Dely Valdes e, forse, dei capelli biondo platino improponibili, risvegliarono l’istinto da “bomber”, represso da troppo tempo: la “doble D” trascinò gli isolani alla qualificazione in Europa. Alla fine del triennio per i gemelli del gol saranno quasi 70 reti in coppia: tra queste quella più veloce della storia della Liga, dopo 7 secondi di gioco. Era il dicembre del 2000, record detenuto per ben otto anni.
Allegro, solare e amato dai tifosi, il carattere di Daio non era cambiato. Forse non ha un buon ricordo di lui Guti, ex regista del Real Madrid, che fu definito “nenaza”, “effemminato”, dal centravanti dell’Uruguay. Nel 2003 ci fu il passaggio al Siviglia, dove non conservano un grandissimo ricordo di Silva: 9 reti in due anni e una grande amicizia con Sergio Ramos il bottino. Anche in Premier, per la precisione nel Portsmouth, l’ex attaccante del Cagliari non si distinse per la prolificità sotto porta: 2 gol in 13 presenze. Da qui Dario prese la decisione, quella di tornare in patria, per giocare nel club che lo fece conoscere al grande calcio, il Penarol. Il grave incidente con il suo pick-up del settembre 2006 lasciò illesi gli amici Elbio Pappa e Dardo Pereira. Silva, invece, dovette subire l’amputazione della gamba a seguito di una frattura scomposta: fine della carriera a 33 anni. “Quando mi sono accorto che la gamba non c’era più, non volevo più vivere. Dopo 15 minuti però avevo già cambiato idea perché mi ero accorto di quanto avessero sofferto i miei familiari”, dichiarò Silva dopo l’incidente.
“So che in tutto il mondo erano preoccupati per la mia salute: anche Diego Maradona. Per me sapere di quella telefonata è stata il massimo, perché Diego è il mio mito. Ho capito che la vita è una sola e io sono felicissimo di essere sopravvissuto per godermi l’amore della mia famiglia. Non è stato facile accettare di aver perso proprio una gamba, strumento del mio lavoro. E’ come se a un tennista amputassero le braccia. Ho capito che i medici avevano fatto la scelta giusta. Con la gamba in quelle condizioni, rischiavo di morire. Alla fine quello che conta è avere il coraggio per andare avanti. La vita è un dono meraviglioso, anche con una gamba sola”. Un pensiero, immancabile, anche per Cagliari, città che lo adottò: “La amo, mi sarebbe piaciuto viverci. I sardi mi ricordano tanto gli uruguaiani, sono tranquilli e aperti. Ho persino imparato il dialetto sardo, che non è mica facile. Poi, in Spagna e in Inghilterra, quando volevo insultare gli arbitri, li insultavo proprio in sardo. Le cose che dicevo! Se qualcuno fosse stato figlio di sardi, mi avrebbe ammazzato”.
Nel 2007 Silva tornò a camminare grazie a una protesi fatta in Italia e nel 2009 era già in campo… Selezione di vecchie glorie di Uruguay e Argentina: Dario fece due gol. Provò anche a prepararsi alle Paralimpiadi di Londra 2012, canottaggio. Silva non si arrese fino all’ultimo, come quando rincorreva palla e avversari nel prato del Sant’Elia, ma non riuscì nell’impresa di presentarsi in tempo. Sarà invece puntualissimo sabato sei, alla Sardegna Arena: ci sono circa 16 mila amici che lo aspettano.