A tutto Bojinov: “Corvino il Messi dei ds. Vlahovic? Può diventare il migliore”
L’ex attaccante di Lecce, Fiorentina e Juventus si racconta. Tanti ricordi e retroscena da Corvino, a Tevez e quella telefonata in cui suggerì di prendere Vlahovic
Alla prima frase ci dà già una risposta da titolo. “Corvino è unico. Ti parlo non solo dal punto di vista tecnico, ma anche e soprattutto da quello umano: per me è stato come un padre, andavo da lui a mangiare tutte le domeniche, mi dava consigli su tutto. Gli devo tantissimo. È un fuoriclasse nello scouting e nella gestione dei rapporti umani. Hai presente Messi? Ecco è uguale”. La chiacchierata con Valeri Bojinov inizia così. Lecce è stata la prima tappa del suo viaggio nel mondo calcio, ci ha lasciato il cuore, tanti amici e ricordi. Con Corvino il rapporto è speciale, lo chiama il direttore. “Per me il Salento vuol dire casa. Seguo sempre il Lecce e spero possa costruire un ciclo importante e restare a lungo in A. Sono arrivato in Italia dalla Bulgaria che avevo 15 anni. Poi ho avuto la fortuna di giocare in altre grandi squadre, come la Fiorentina e la Juventus”.
Ma andiamo con ordine. Valeri – 36 anni – risponde dalla Bulgaria, dove ancora gioca e segna con il Septemvri Sofia. Dopo anni in giro per il mondo ora è tornato a casa. “Non voglio smettere, ho cambiato squadra per ritrovare gol e serenità”. Poi si ferma e riavvolge il nastro, guardandosi dentro e mai indietro. “In vent’anni di carriera tante cose possono cambiare, molte altre vorresti tu che fossero andate in un altro modo. Ma che senso ha vivere di rimpianti? Bisogna guardare sempre avanti. Poi ho giocato con grandissimi campioni, non posso di certo lamentarmi. Sono talmente tanti che non riesco neanche a farti dei nomi”.
Sorride, ci pensa su e riparte. “Tevez era fuori dal comune, credimi. Ogni tanto faceva delle cose che dicevi ‘ma come ha fatto?’. Poi in quel Manchester City c’era anche Robinho, con quelle finte e quei doppi passi era unico. Ma ce ne sarebbero troppi di grandi giocatori. Nello spogliatoio della Juve dove ti giravi ti giravi c’era un campione. Buffon, Nedved, Camoranesi, Del Piero, Trezeguet. Capisci che davanti era difficile trovare spazio…”
Ci ride su. Ma se nella sua Juve in attacco c’erano Alex e David, oggi c’è un ragazzo che lui conosce bene. Dusan Vlahovic, preso da Corvino alla Fiorentina nel 2018 e ora uomo di punta dell’attacco bianconero. In quel caso l’assist fu… proprio di Valeri. “Io giocavo al Partizan e di calciatori forti da noi ne passavano parecchi. Ma Dusan non aveva ancora compiuto 16 anni ma aveva già un qualcosa di diverso, mi sembrava di rivedere me a quell’età. Consapevolezza dei propri mezzi e voglia di arrivare in alto. Mi diceva “Sarò l’Ibrahimovic dei Balcani”. Una voglia di spaccare il mondo mai vista, era pazzo. Pensava solo al campo, si allenava con un’intensità e una dedizione non comuni per la sua età”.
Così un giorno squilla il telefono. “Come sono questi due, li prendo?”. Dall’altra parte della cornetta c’era Pantaleo Corvino. Questi due? Già, perché il secondo in questione era Nikola Milenkovic, compagno di stanza e migliore amico di Vlahovic. Lo stopper e il goleador, inseparabili. “ Gli dissi di prenderli assolutamente e che tra due o tre anni avrebbero triplicato il loro valore. Dusan aveva una voglia matta di arrivare e oggi ha le qualità per diventare uno dei più forti al mondo, Nikola in Serie A è migliorato tantissimo, ha mezzi tecnici e fisici incredibili”. Detto fatto. Gol ma anche guizzi da scout. “Dopo così tanti anni in questo mondo qualcosa capirò no?”
Quando gli provi a chiedere della situazione di ora di Vlahovic e della Juventus ti ferma subito. “Giocare lì non è facile, soprattutto se sei giovane e sei stato pagato tanto. Ma lui è uno che la pressione non la sente. In questo è come me. Certo è che quando la squadra non gira fa fatica, ma credo sia normale. È uno che può fare la differenza, quando vuole cambia le partite. Può arrivare in alto. Ci sentiamo spesso, almeno una volta a settimana e vedo in lui la stessa fame di quando era un ragazzino di 16 anni e giocava nel Partizan”. Racconti di chi lo conosce e lo ha visto crescere, ma soprattutto di chi in Italia ha trovato la sua isola felice e non vede l’ora di tornare.