Superclasico nella giungla: Boca-River, racconto di viaggio di un italiano
Afa, lacrime e tamburi: Filippo, giovane viaggiatore, ci racconta l’incredibile ‘hinchada’ dei tifosi del Boca Juniors. La finale di Copa Libertadores arriva fino alle cascate di Iguazù
Boca-River, la foresta tropicale e un viaggiatore italiano. Domenica 11 novembre tutto il calcio ha gli occhi puntati su La Bombonera più calda di sempre, sulla final del siglo. Ma dietro alla storia ufficiale, dei 49mila presenti allo stadio, ci sono tutte quelle di chi, argentino e non, ha vissuto il Superclásico come e dove ha potuto.
Avete presente quando a 25 anni, finiti gli studi, arriva il momento di scegliere se lavorare subito o avventurarsi nel viaggio della vita? Ecco, Filippo ha preso la seconda strada: zaino in spalla e biglietto di sola andata per l’America Latina, quel pomeriggio si trovava a Puerto Iguazù, città di frontiera dove l’Argentina incontra il Paraguay e il Brasile. “Il piccolo centro ha un’aria urbana, ma appena si esce verso il fiume ci si accorge subito che è stata costruita nella giungla. Ci sono i tucani, altri animali tropicali”.
E poco lontano le spettacolari cascate che ogni anno attirano due milioni di visitatori. Buenos Aires, la Boca e il fútbol sono 1200 chilometri più a sud (circa come Milano-Londra).
“Ho visitato La Bombonera qualche giorno prima: da brividi, la calma prima della tempesta. Poi sono dovuto partire (15 ore di corriera lungo il Paranà), ma volevo comunque seguire il Superclásico”, continua Filippo ai microfoni di Gianlucadimarzio.com. “In ostello non c’era nessuno, allora ho chiesto alla reception dove poter guardare la partita in compagnia. -Prova in centro. Oppure in periferia, verso la frontiera con il Brasile, c’è un grosso spiazzo. Occhio però che è un covo di tifosi del Boca. Non so che cosa possa succedere lì-”.
Lui è un ragazzo curioso, non se lo fa dire due volte. “Nel breve tragitto sono stato circondato dal fiume di gente che arrivava in motorino”. Come da noi, la domenica per andare allo stadio, no? Ma qui lo stadio non c’è. Solo un’enclave boquense alle porte della giungla. “Stavano tutti andando lì. Mi sono presto trovato davanti a un piazzale costellato di bandiere e striscioni gialloblù. Dentro a quello che sembrava un magazzino adibito a bar, tutti aspettavano Boca-River”.
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Quanti tifosi saranno stati? “Centinaia. Difficile essere più precisi. Sono arrivato mezz’ora prima del calcio d’inizio e subito ho sentito un caldo infernale. A Iguazù di giorno ci sono tranquillamente 34-35 gradi umidi. In quel capannone saranno stati dieci di più. Eravamo tutti fradici, anche stando fermi. Un bagno turco”.
Ma oltre a Filippo sembrava non accorgersene nessuno. “C’erano bambini, adulti, giovani. Ho visto donne piangere per l’emozione quando è cominciata la partita. Mi è venuta la pelle d’oca: c’era davvero una ‘buena onda’”. Atmosfera magica, incandescente ma amichevole. “Ho provato a chiacchierare un po’, si parlava solo di calcio. Dicevo che ero italiano e subito tutti a parlarmi di Maradona, che ovviamente qui è Dio. Me lo indicavano sui murales nel locale, vicino a Tevez e ad altri idoli del Boca”.
Non era facile approfondire il discorso. “In fondo alla sala c’erano dei capi ultras, con i tamburi. Quando sono arrivato li stavano già battendo e non hanno mai smesso di suonare e di cantare. Sui vari proiettori la partita aveva la telecronaca, ma ho sentito solo i cori che la sovrastavano. Cantavano tutti, instancabili”.
Un popolo in festa e sicuro di prendersi la Copa, quello Xeneize: “Prima della partita erano tutti straconvinti di vincere, -Hoy ganamos tres a cero-. Al River avevano fatto il funerale anticipato:
in mezzo ai tifosi spiccava una grande sagoma di cartone a forma di
bara, e sopra un fantasma stilizzato con la maglietta biancorossa”.
“Al momento del gol tutti si abbracciavano, birra che volava, io pure”. Come una finale dei Mondiali. Anche se dopo la prima rete del Boca, Pratto pareggia dopo nemmeno un minuto. “Lì è stato l’unico momento in cui hanno smesso di suonare. Per dieci secondi. Finita la partita la gente rimaneva lì, continuava a festeggiare”. Nonostante un 2-2 che lascia i giochi apertissimi.
“Con calma io sono andato via. I tamburi stavano battendo ancora”.
E fino al match di ritorno del Monumental, siamo sicuri che
continueranno a farlo. Anche in mezzo alla giungla, 1200 chilometri a
nord di Buenos Aires.